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Monache Clarisse: la fede è il perdono vissuto solo all’interno della capacità di amare

DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di domenica 12 giugno.

«Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. Ho detto: “Confesserò al Signore le mie iniquità” e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato».
Così canta il salmista che fa, nella sua vita, l’esperienza del Dio che libera, che è rifugio, che non «imputa il delitto», che toglie la colpa.
E’ l’esperienza del re Davide che, accusato dal profeta Natan – «Tu hai colpito di spada Uria l’Ittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso» -, riconosce il suo limite: «Ho peccato contro il Signore». Non pone tra sé e Dio attenuanti, scuse, autogiustificazioni, ma si presenta a Lui nudo, consapevole solo di quanto è accaduto.
E’ l’esperienza della donna che, trovato Gesù, «portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo».
E’ una donna che, sebbene pubblicamente additata come peccatrice, non si vergogna di entrare a casa di Simone, il fariseo, per cercare il Signore.
Mentre tutti si indignano del suo comportamento equivoco e disdicevole, Gesù si lascia toccare e lascia che questa donna “converta” tutti i gesti che fino a quel momento erano stati per lei gesti di peccato, gesti utilizzati per sedurre e dare piacere, in un desiderio di cercare, trovare, gustare una relazione più grande. più vera, un amore più pieno, più forte, più totalizzante.
Che cosa vuol dirci la liturgia di questa domenica presentandoci queste due esperienze?
Che superare il peccato non è un problema di controllo legale delle nostre mancanze né di applicazione di regole scritte…superare il peccato implica un “incontro”.
San Paolo, nella lettera ai Galati, ce lo conferma: «…sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno».
Il perdono può essere vissuto solo all’interno della capacità di sentirsi amati gratuitamente, senza meriti, nonostante ogni nostra debolezza, e della capacità di amare. E’ questa la fede!
Simone è, ufficialmente, molto religioso, e insieme molto critico e duro; forse perché vive la fede proprio come osservanza di norme divine e non come risposta all’amore di Dio.
Questo criterio legalistico non fa posto alla misericordia di Dio: Simone si sente creditore nei confronti del Signore; la donna, così come Davide nella prima lettura, si presenta a Lui bisognosa e mendicante di amore.
«La tua fede ti ha salvata, va’ in pace!». Non è necessario che Gesù chieda alla donna il proposito di non peccare più perché, una volta conosciuto l’amore del Signore, il peccato non ha più la capacità e la possibilità di renderla di nuovo schiava. Questa è la fede che l’ha salvata, l’ha rimessa in piedi e l’ha resa capace di riprendere il cammino nella pace.

Redazione: