Le difficoltà burocratiche e le “intricate e incomprensibili decisioni politiche” che ostacolano la distribuzione degli aiuti nelle zone di guerra o nelle grandi emergenze mentre, al contrario, le armi “circolano con una spavalda e quasi assoluta libertà in tante parti del mondo”. Il cibo che, anziché essere un dono della terra per tutti, diventa “un privilegio di pochi” e viene “mercantilizzato”, “generando in questo modo esclusione” e spreco. La “naturalizzazione” della miseria, accettata oggi come un dato di fatto tanto da portare “all’anestesia della coscienza”, che impedisce di vedere il volto dei poveri, di bambini, giovani, donne, anziani, migranti.
Sono tanti e complessi i temi che ha affrontato oggi (13 giugno) Papa Francesco nella sua prima visita al Programma alimentare mondiale (Pam-Wfp) che ha sede a Roma, “la più grande organizzazione umanitaria del mondo”, ha ricordato la sua direttrice esecutiva, Ertharin Cousin, con 13.500 dipendenti. Il Pam assiste una media di 80 milioni di persone in 80 Paesi del mondo attraverso la distribuzione di generi alimentari. Insieme alla Fao sono gli unici due organismi delle Nazioni Unite con sede a Roma. Papa Francesco è arrivato con quindici minuti di anticipo e ha sostato davanti al Muro della memoria, dove sono scritti i nomi degli operatori del Pam caduti in missione. Qui ha deposto due cestini di rose.
La miseria e le tragedie non sono un fatto “naturale”. Gli intenti di Papa Francesco e dell’organismo delle Nazioni Unite confluiscono nel “tanto desiderato obiettivo” comune della “fame zero”, che però è difficile da raggiungere per motivi, sociali, politici ed economici. L’eccesso d’informazione, ad esempio, porta a quella che il Papa ha chiamato la “naturalizzazione” della miseria, per cui si considera “naturale” ogni tragedia che riguarda gli altri, soprattutto i poveri. Invece, ha ricordato, “la miseria ha un volto” e “quando mancano i volti e le storie, le vite cominciano a diventare cifre”, con il rischio di “burocratizzare il dolore degli altri”. Il suo invito, usando due neologismi da lui coniati, è quello di
“de-naturalizzare” la miseria e “de-burocratizzare” la fame.
“Sprecare cibo è come rubare alla mensa del povero”. Perché se tanta gente soffre ancora la fame nel mondo – si parla di circa 800 milioni di persone – non si tratta di “qualcosa di naturale” ma è causato da “una egoista e cattiva distribuzione delle risorse”. La fame non è “il frutto di un destino cieco di fronte al quale non possiamo far nulla”. “I frutti della terra, prima dono accessibile a tutta l’umanità, sono oggi mercanteggiati, ossia “commodities di alcuni, generando in questo modo esclusione”. Allo stesso modo il consumismo ci ha abituati “al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo”. Papa Francesco però ha avvertito:
“Il cibo che si spreca è come se lo si rubasse alla mensa del povero, di colui che ha fame”.
“Aiuti umanitari ostacolati da burocrazia, le armi no”. Di fronte agli ostacoli che incontrano gli operatori umanitari nella distribuzione degli aiuti, soprattutto nelle zone di guerra, il Papa non si capacita di come invece le armi “abbiano acquistato una preponderanza inusitata”: “Mentre gli aiuti e i piani di sviluppo sono ostacolati da intricate e incomprensibili decisioni politiche, da fuorvianti visioni ideologiche o da insormontabili barriere doganali – ha affermato -, le armi no”. In questo modo “a nutrirsi sono le guerre e non le persone.
In alcuni casi, la fame stessa viene usata come arma di guerra.
E le vittime si moltiplicano”. Eppure, pur sapendolo – questo l’altro cruccio del Papa – “lasciamo che la nostra coscienza si anestetizzi e così la rendiamo insensibile”.
Agli operatori, “datevi il lusso di sognare”. “Datevi il lusso di sognare, abbiamo bisogno di sognatori che diano forza a questo progetto”, ha aggiunto a braccio Papa Francesco rivolgendosi a funzionari e operatori del Pam.
Dopo averli incontrati ad uno ad uno, aver baciato e benedetto i loro figli, ha consegnato il successivo testo scritto e proseguito il suo discorso improvvisando: “Dovrei dire il discorso in spagnolo ma i discorsi sono noiosi e la maggioranza di voi parla italiano – ha esordito -. Dirò parole dal cuore nel mio brutto italiano: grazie perché voi fate un lavoro nascosto, che non si vede ma serve a far andare avanti tutto. Voi siete come le fondamenta di un palazzo, senza le fondamenta il palazzo non sta in piedi”.