Di Romano Guatta Caldini
GROTTAMMARE – Com’è cambiata la comunicazione dei media cattolici al tempo di Francesco? Quali sono le prospettive della stampa cattolica a fronte della crisi dell’editoria? Qual è il rapporto fra la carta, il digitale e i social media? A queste domande ha provato a offrire una risposta il Terzo meeting nazionale dei giornalisti cattolici, “Pellegrini nel cyberspazio”, che si è tenuto a Grottamare (Ap) dal 16 al 19 giugno. Quella dei giornali cattolici è “una foresta che cresce”, fra l’incertezza di un futuro in cui il web sembra prevalere a discapito del cartaceo e un presente fatto di interrogativi sulle sfide poste dai nuovi media al tempo di papa Francesco che con il suo account twitter @Pontifex può vantare un seguito di 9,46 milioni di follower.
Un dato su cui riflettere. “Lo stile comunicativo di papa Francesco ci interroga come giornalisti cattolici”, ha evidenziato don Adriano Bianchi, direttore de “La Voce del Popolo” di Brescia, introducendo il Meeting. Sul tema sono intervenuti durante la prima giornata Fabio Zavattaro, vaticanista Tg1,Enzo Romeo, vaticanista Tg2, Vincenzo Morgante, direttore TGR Rai, e padre Gianni Epifani, curatore della trasmissione “A sua immagine”. A chiusura del convegno il tema è stato ripreso da Paolo Ruffini, direttore di Tv2000, e da Francesco Zanotti, presidente della Fisc. “Dobbiamo essere voce di chi non appare. Su questo il Papa ci ha dato un aiuto incredibile. Bergoglio – ha osservato Zanotti -, è il Papa che testimonia per primo con i gesti e le parole. Ci mette all’angolo tutti. Questa è una rivoluzione nel nostro mestiere, è la rivoluzione del Vangelo che è entrata nelle nostre case e nelle nostre redazioni. Tutti ci interroghiamo nelle redazioni su cosa vogliono i lettori. La gente vuole il Papa, perché lo sente vicino. Questo ci costringe a metterci in ascolto”. Circa l’attuale situazione di crisi, se venissero meno i settimanali cattolici, come le radio e tutte quelle realtà informative che gravitano attorno alle diocesi, verrebbe meno la voce di milioni di persone che, in tutta la penisola, proprio attraverso gli strumenti diocesani si esprimono, attingono le notizie di approfondimento, le opinioni, le voci delle comunità in cui si trovano a vivere e operare. La sfida è trovare il giusto equilibrio fra i diversi mezzi nazionali e locali, senza sovrapposizioni o inutili repliche. Ne è convinto il direttore del Sir, Domenico Delle Foglie. Di notizie locali ha parlato, invece, Ferruccio Pallavera, direttore de “Il cittadino” di Lodi, sottolineando l’importanza del presidio sul territorio.
Raccontare bene è l’altra sfida a cui sono chiamati i giornali. “La gente vuole leggere storie ben narrate, quelle che emozionano e che coinvolgono maggiormente – ha sottolineato Massimo Calvi di Avvenire -. L’avvento dei media digitali ha rivoluzionato il modo di fare Story telling giornalistico”. Dei nuovi linguaggi della rete e del loro utilizzo nella professione giornalistica ne hanno parlato nella seconda giornata Piero Vietti, caporedattore de Il Foglio, Elisabetta Tola di Google Italia, Daniele Chieffi, digital pr di Eni, Vincenzo Russo, de Il Fatto quotidiano, e Alessandro Chessa, dell’Imt di Lucca. Digitale o cartaceo, il lavoro del giornalista è di sapersi calare nella notizia, andando sul campo, sporcandosi le mani, ascoltando le voci, le grida di aiuto. Come quelle delle migliaia di migranti che ogni giorno affrontano i marosi del Mediterraneo in fuga dalla povertà o dalle persecuzioni, come ha testimoniato, durante l’ultima giornata del Meeting, monsignor Jacques Behan Hindo, arcivescovo dell’Arciparrocchia di Hassaké-Nisibi dei Siri, territorio da un quinquennio sotto attacco del Daesh. “I media cattolici devono mantenere una grande attenzione alla persona”. Così l’arcivescovo di Ancona-Osimo, il cardinale Edoardo Menichelli, si è espresso nel dibattito con il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, nel corso dell’ultima tavola rotonda “Media cattolici, quale direzione?”. A proposito dell’informazione religiosa, il porporato ha affermato che “è obbligatorio per noi raccontare. Ma credo ci sia anche l’obbligo della prospettiva”. Circa le parole dell’Arcivescovo di Hassakè Nisibi, il cardinale ha evidenziato: “Mentre il mio confratello Hindo parlava, facevo una analisi di quanto io conosco delle disavventure di quel popolo. Ho pensato che noi badiamo a quanto quegli eventi provocano su di noi, ma non ci soffermeremo mai sulla tragedia di quelle popolazioni. Mi ha stupito ed emozionato quando ha detto: ‘Non dateci nulla, ma amateci’. Credo che spesso l’informazione sia così veloce che non riesce più a vedere le persone di cui parla. Quindi per me i periodici devono essere capaci di centrare tutto sulla persona. Se faremo solo una lettura del problema non capiremo mai abbastanza. L’orientamento per me è una grande attenzione alla persona”.