Nessuno al momento è in grado di dire quali saranno le conseguenze del voto amministrativo del 5 e 19 giugno sugli assetti politici nazionali. Ma le novità sono state così eclatanti che ci vorrà del tempo anche per capire a fondo quel che i dati delle urne hanno da dire sui comportamenti degli elettori, una fetta rilevante di cittadini italiani chiamati a eleggere 121 sindaci, compresi quelli delle città più grandi. All’Ipsos, l’istituto di ricerca presieduto da Nando Pagnoncelli, uno dei più noti e accreditati, ci si sta applicando con l’approccio di chi non cerca scorciatoie per arrivare a conclusioni tanto semplici quanto affrettate.
I processi che si sono evidenziati sono complessi, talvolta contraddittori, e non riguardano soltanto i rapporti politici, ma anche le dinamiche profonde della società, come il rapporto tra le le élites e le periferie.
Per esempio risulta difficile mettere insieme un tasso di astensionismo così elevato con l’exploit di un movimento come i 5Stelle. “Ci stiamo lavorando – spiega Luca Comodo, che dirige il dipartimento politico-sociale di Ipsos – ma il problema interpretativo c’è tutto. Alcune analisi mettono in guardia dal considerare i 5Stelle solo come un movimento di protesta, perché invece sta diventando sempre più anche un movimento di governo. Quel che mi sento di dire sulla base dei dati che abbiamo è che comunque un pezzo di astensionismo lo ha intercettato. Esemplare è il caso di Milano, dove al ballottaggio i 5Stelle non erano presenti e la partecipazione ha avuto un crollo. Ma le analisi sono tutte ancora da approfondire. Faremo anche un confronto con la situazione spagnola dove – non lo dimentichiamo – un anno fa Podemos ha portato all’elezione due donne-sindaco a Madrid e a Barcellona”. Il parallelismo, obiettivamente, colpisce.
Anche l’analisi dei voti espressi richiede un affinamento ulteriore. “E’ del tutto evidente la richiesta di un cambiamento profondo – osserva Comodo – se poi però andiamo a vedere i dati Comune per Comune, nel confronto con le politiche del 2013 il centrosinistra è stabile, il centrodestra guadagna 4 punti e il movimento 5Stelle ne perde altrettanti. Guardi che non sto sottovalutando la portata di quel che è avvenuto, dico solo che se si vuole capire davvero bisogna andare oltre i commenti della prima ora”.
Anche l’analisi dei flussi elettorali fatta da Ipsos nelle principali città al ballottaggio evidenzia la confluenza sul candidato grillino di parte dell’elettorato di centrodestra, in chiave anti-Pd. Secondo gli studi dell’Istituto Cattaneo di Bologna, la novità di questa tornata è che in alcuni casi (Bologna, Novara, Grosseto e Brindisi) è avvenuto anche l’opposto, cioè una parte significativa dell’elettorato dei 5Stelle ha votato per il candidato di centrodestra. “Noi non abbiamo studiato queste città – puntualizza Comodo – ma la mia impressione è che questa seconda dinamica si verifichi solo quando il candidato è percepito comunque come legato a un’idea di cambiamento. Sarebbe da studiare bene, inoltre, il caso di Latina, dove i 5Stelle non erano presenti e il candidato di una coalizione di liste civiche ha vinto con oltre il 75% in una città da sempre governata dal centrodestra”.
Al di là dei risultati delle singole forze politiche e degli equilibri che ne scaturiranno, secondo Comodo c’è però un dato sociale profondo che è emerso in queste elezioni.
“Si è prodotta una frattura tra il popolo e le élites – osserva il direttore del dipartimento politico-sociale di Ipsos – una vera frattura sociale.
Questo, per esempio, riesce a spiegare il risultato di Torino, dove tutti i sondaggi precedenti al voto raccoglievano giudizi positivi sull’amministrazione della città e allo stesso tempo, però, coglievano comunque la richiesta di un cambiamento. E’ una vera frattura che si esprime anche attraverso una sorta di fastidio nei confronti delle élites e che naturalmente non riguarda solo Torino e per la verità neanche soltanto l’Italia”. Tale frattura sociale si è manifestata in modo particolare nel voto delle periferie, a Roma nella maniera più clamorosa, ma in tutte le grandi città. “Si tratta di élites che vivono in una dimensione globalizzata e che non sono state in grado di capire le difficoltà reali, materiali e psicologiche, di chi vive in una condizione di precarietà e di esclusione che genera insicurezza”, spiega Comodo. E’ dalle periferie, insomma, che bisogna ripartire.
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