Vescovo Carlo Bresciani: “La prima lettura ci traccia un specie di profilo sintetico della vita del profeta Elia e della sua decisa azione in difesa della genuinità della fede di Israele. I tempi non erano certo facili e l’approccio di Elia risente fortemente del contesto generale di mentalità e di modo di agire in cui ebbe ad operare in nome di Dio. Oggi sicuramente un approccio così muscoloso, e talora decisamente violento, troverebbe da parte di tutti noi qualche obiezione di fondo tutt’altro che infondata. Dio stesso lo fece capire ad Elia quando, sul monte Oreb, gli si manifestò non nel terremoto o nel vento così impetuoso da spaccare le rocce, ma nella brezza leggera (cfr 1Re 19, 12).
Ciò che mi pare possiamo prendere come insegnamento di Dio e che va al di là dei tempi e delle culture particolari è la passione di Elia per “ricondurre il cuore del padre verso il figlio e ristabilire le tribù di Giacobbe”, cioè la sua passione e la sua totale dedizione al ristabilimento della genuinità della fede del popolo eletto di Israele, sempre minacciata di ridursi a riti e parole, ma per il resto vuota delle opere del vero amore di Dio e del prossimo.
In questo senso, purificata dalla violenza che l’ha accompagnata, l’opera di Elia, che non esitò a rimproverare decisamente ad Acab di essersi impossessato della vigna di Nabot, facendolo uccidere e andando così incontro alle ire della regina Gezabele, ha qualcosa da insegnare anche a noi. Elia non si ferma e non tace davanti al potente di turno e alle trame ordite da sua moglie, anche se ciò significa affrontare un serio rischio per lui che non si accoda alla pusillanime sottomissione dei notabili della città, succubi delle pretese ingiuste e delittuose di Acab e di sua moglie. Elia coraggiosamente fa emergere la verità di quanto è stato compiuto e questo di fatto è un’opera di carità, un’opera di misericordia spirituale perché Acab, messo di fronte alle sue responsabilità, riconosce il proprio peccato ed evita il castigo di Dio.
La grandezza del profeta, che la prima lettura oggi esalta, è da trovare nel suo grande coraggio a servizio della verità e nella denuncia delle illusioni dei falsi idoli a cui il popolo di Israele era tentato di affidare le sue sorti.
In questo aspetto, mi pare, il profeta Elia possa essere un po’ il modello del giornalista cattolico che non si lascia conquistare dal potente o dagli idoli di turno, tacendo verità e iniquità che tradiscono non solo la fede, ma l’essere umano stesso nella sua dignità.
Il brano del vangelo ci presenta, invece, la preghiera per eccellenza del cristiano – il Padre nostro -, che è tale non solo perché insegnata da Gesù stesso, ma perché è una mirabile sintesi di tutto ciò che professiamo nella fede e che dovremmo cercare di vivere per essere cristiani non solo di nome, ma di fatto.
In essa, tra l’altro, preghiamo perché venga il Regno di Dio. Vorrei partire da questo spunto per chiederci se sappiamo non solo chiedere, ma anche vedere il Regno che viene e che è già presente in mezzo a noi. È più facile notare e denunciare ciò che manca ancora per la pienezza della sua venuta (ovviamente manca sempre qualcosa anche di importante), più difficile è invece cogliere le trame attraverso le quali Dio stesso lo sta costruendo pazientemente anche nel mondo di oggi e nella vita di ciascuno di noi. Se non sappiamo vedere l’opera di Dio, che agisce non attraverso il terremoto o il vento impetuoso da spaccare le rocce, ma nella brezza leggera, saremo sempre insoddisfatti e invece di guardare al futuro con speranza, lo faremo solo con prospettive apocalittiche cariche solo di previsioni che spengono la volontà di costruzioni positive.
Noi preghiamo “venga il tuo regno”, perché sappiamo e crediamo che Dio è all’opera in questo mondo. Egli non ha mai cessato, al di là del peccato dell’uomo -ahimè sempre presente-, di far sorgere in esso germi – e non solo germi- di amore, di giustizia e di pace che sono le architravi del suo Regno. Abbiamo bisogno di allenare i nostri occhi e il nostro cuore per saperle cogliere, per metterle in luce, acquistare e dare speranza di futuro e collaborare con Dio a farle crescere.
Sono convinto che anche la stampa abbia un ruolo fondamentale in questo, non tanto per avere e dare una visione unilaterale. Elia ha un occhio per le devianze del popolo e le denuncia con forza. Abbiamo detto che si tratta di un’opera di misericordia spirituale. Gesù ha occhi non solo per condannare la protervia dei potenti e dei ricchi, ma anche per vedere l’opera del Padre nel povero, nel peccatore/peccatrice che si converte e nel pubblicano che nel tempio sembra far fatica ad alzare gli occhi e pregare e invece prega nel modo più genuino ed autentico: la sua è una vera preghiera cristiana. È in queste persone che cresce il regno di Dio e si manifesta la sua paternità universale ma è ciò che gli scribi e farisei non sanno cogliere.
Non è forse in questa linea che papa Francesco sta spingendo con decisione la Chiesa e il mondo intero?
E non è forse la linea che anche i giornalisti potrebbero seguire cercando di avere occhi e cuore attenti a dare luce e visibilità a quei segni di bene e di positività che tante volte si celano anche nelle situazioni umanamente più disastrose e desolanti?
Ai piedi della foresta che cresce silenziosamente trova spazio il fiore della speranza, la piccola sorella che accompagna e sostiene gli incerti passi dell’uomo verso il futuro”.