Entra piano e a testa bassa, Francesco, nel Monastero di Khor-Virap, in una forma di ossequioso rispetto per la devozione che il popolo armeno riserva a questo luogo santo. È qui che fu imprigionato San Gregorio Illuminatore, il vescovo cristiano orientale fondatore e patrono della Chiesa apostolica armena.
È qui, in questo antico edificio a pochi passi dal confine con la Turchia, ai piedi del monte Ararat, che è custodito il pozzo in cui San Gregorio fu imprigionato per 13 anni, a decine di metri sotto terra, per volontà del re Tridate III persecutore dei cristiani. Lo stesso sovrano che, anni dopo, si convertì al cristianesimo con tutta la famiglia dopo essere guarito da una lunga e grave malattia proprio per intercessione del Santo. Fu lui quindi a proclamare, nel 301, il cristianesimo come religione di Stato.
Proprio nella Sala del Pozzo si dirige il Pontefice – di ritorno da un incontro con delegati e benefattori della Chiesa Armena Apostolica ad Etchmiadzin – appena giunto al Monastero. La processione del Papa insieme al Catholicos, viene accompagnata dal rintocco delle campane e dal canto Leerink’ Amenayn intonato dal coro che fa risuonare nell’aria le seguenti parole: “Rallegratevi oggi o montagne tutte, per la insigne gloria del monte Sebu, monte supremo, perché su quella montagna è vissuto San Gregorio, colonna di luce della Santa Chiesa degli armeni…”.
Arrivati davanti alla ‘prigione’ di San Gregorio, Francesco e Karekin II accendono una candela dalla lampada artistica in argento e vetro che lo stesso Pontefice ha voluto donare in ricordo della visita. Le due fiammelle vengono portate fino alla Cappella adiacente, dove i due leader religiosi si alternano nella preghiera in armeno e italiano. “Signore, guida i nostri passi sulla via della pace, della giustizia e della vita eterna”, prega Karekin.
“Cristo Dio nostro, guida della vita e latore di pace – fa eco Bergoglio – conduci tutti noi con la tua giustizia sulla via dei tuoi passi, affinché con l’aiuto della tua misericordia, raggiungiamo serenamente il porto della salvezza perché tu sei il nostro aiuto e il nostro Salvatore”.
Seguono formule di congedo e la preghiera del “Padre Nostro” recitata da tutti i presenti ognuno nella propria lingua. Il Santo Padre imparte la benedizione finale e poi, con Karekin II sempre al suo fianco, esce ancora in processione, accompagnato dal canto cadenzato del coro, sulla terrazza del belvedere.
È lì che avviene uno dei momenti più significativi del viaggio del Papa nel paese caucasico: la liberazione di due colombe bianche verso il Monte Ararat, quel monte dove la tradizione biblica vuole che si arenò l’arca di Noè dopo il diluvio universale.
Un segno di pace, un gesto di alto valore simbolico, a cui Papa Francesco aggiunge una benedizione del monte Ararat, indirizzata sia al popolo armeno che a quello turco nella speranza di una riconciliazione che suturi la profonda ferita del genocidio.
Infine, mentre le colombe già spariscono dall’orizzonte, Bergoglio si volta di nuovo verso il Catholicos: ancora un abbraccio, ancora una stretta di mano, ancora una speranza che attraverso questi gesti ecumenici di misericordia si possa dare sollievo ad un mondo “lacerato dai conflitti”.