“Cuore e mente aperti per vincere le tentazioni del ‘si è sempre fatto così’ e di una retorica consolatoria che enfatizza la grandezza di quanto nella storia la Chiesa ha saputo fare”. Solo così si può avviare “un vero processo di riforma” in qualsiasi settore. Ne è convinto monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, che intervenendo ieri all’incontro nazionale, organizzato a Roma dal Servizio informatico e promosso dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e dall’economato/amministrazione della Cei, ha raccontato quanto sta avvenendo all’interno dei media vaticani, offrendo diversi spunti di riflessione. A fare da filo conduttore il tema dell’incontro: “I servizi informatici ed internet per la diocesi e la parrocchia: comunicazione, gestione, amministrazione”. Un trittico, quest’ultimo, che rimanda al percorso avviato in Vaticano dalla Segreteria presieduta da mons. Viganò. “Papa Francesco – ha spiegato il prefetto – ci ha ricordato che ‘alle novità dello Spirito, alle sorprese di Dio anche le abitudini devono rinnovarsi’. Questo significa che oggi per essere fedeli alla tradizione della Chiesa è necessario compiere un attento discernimento su quanto la comunità cristiana ha saputo fare nei momenti di cambiamenti epocali. Non è un caso che il Motu Proprio d’istituzione della Segreteria per la comunicazione inizi correlando l’attuale contesto con la necessità di un ripensamento del sistema comunicativo della Santa Sede. Come dire che l’analisi e la conoscenza del contesto storico-culturale non è concessione per palati elitari ma quanto di più necessario”. E “a chi ritiene che ci sia un disimpegno da parte della Chiesa verso la comunicazione la risposta è proprio nella prospettiva del Motu Proprio del Papa”.
“Ripensare oggi il sistema comunicativo significa anzitutto capire se, aprendo la finestra del nostro mondo, c’è qualcuno che desidera ascoltarci e, se sì, quali siano le sue priorità”. Soffermandosi sulle novità mediatiche e sulla loro relazione con la gestione e l’amministrazione, mons. Viganò ha spiegato che “oggi non è sufficiente avere un sistema comunicativo all’avanguardia, sarebbe inutile; è necessario invece pensarlo rispetto a un interlocutore ben definito. Questa, infatti, non è una componente astratta ma concreta e reale, che va cercata e accompagnata nella ricerca delle risposte maggiormente pertinenti alle sue domande”.
“La riforma dei media vaticani condurrà a un sistema multimediale unico con una direzione editoriale unitaria che terrà conto sia dell’aspetto multilinguistico che multiculturale. Nel processo di riforma in atto in Vaticano – ha aggiunto Viganò – fondamentale è il percorso formativo e professionalizzante: in questo momento alcune risorse umane stanno frequentando master in giornalismo digitale, si sono avviati studi e ricerche di comparazione con le migliori aziende mediatiche e si stanno programmando seminari di ‘team building’ per formare tutto il personale”. Insomma, ha concluso, “si tratta di una grande occasione per promuovere una comunicazione decisamente più proattiva ed efficace rispetto agli investimenti”. Anche perché “tutto deve essere sapientemente pensato e ben gestito, senza sprechi”.
“Lo scopo dell’utilizzo dei social per la Chiesa non può essere una mera ricerca di consensi, bensì quello di seminare il lievito del Vangelo. Il web, i social, tutto il mondo digitale – ha spiegato Viganò – viene ‘misurato’ in termini numerici, che dobbiamo imparare a leggere con una prospettiva relativa, domandandoci ‘rispetto a cosa’. Infatti, il sito web di una parrocchia non può avere gli stessi numeri di quello di una diocesi, che a sua volta non ha i numeri di un sito con un target di utenza nazionale, o addirittura mondiale, come può essere il sito della Santa Sede. Ogni realtà (locale, nazionale, mondiale) ha il suo proprio ambito e in questo ambito è chiamata ad agire e svolgere la missione di seminare il lievito del Vangelo”. Una missione, questa, ha sottolineato il prefetto, che “viene svolta allo stesso modo dal Santo Padre, attraverso i suoi profili e canali social che hanno una risonanza a livello globale, e dal parroco di periferia, attraverso il piccolo sito o il profilo social della parrocchia. Molto più di quanto si pensi l’utenza è in grado di riconosce l’intento missionario, contrapposto alla ricerca di consenso”. Al riguardo mons. Viganò ha raccontato l’esperienza del profilo Instagram (@Franciscus), divenuto “caso di studio” per la stessa azienda Instagram: “Gli strateghi di Instagram consigliavano di postare foto informali, inusuali, perché dai loro studi sulle statistiche numeriche emergeva in modo inequivocabile che questo tipo di foto aumenta i ‘like’, e dunque il consenso. Noi invece abbiamo scelto di non perseguire questa strada, ma di procedere secondo la linea di trasmettere il messaggio evangelico. Dopo un mese di attività del profilo era evidentissimo come l’utenza gradisse molto di più le foto tradizionali, in cui ‘il Papa fa il Papa’ (preghiera, messa ecc.)”. L’invito finale di mons. Viganò è di rischiare, anche perché “nella comunicazione ci sono rischi e non certezze… da affrontare però insieme”.