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Conosciamo la statua di Montelparo di Sant’Antonio Abate

Della Dott.ssa Letizia Ferracuti . Archivista parrocchiale di S. Michele Arcangelo in Montelparo

MONTELPARO – Nel VI secolo d. C. circa, all’epoca di San Benedetto da Norcia, fondatore del monachesimo europeo, si conosceva, grazie all’uso delle lingue romanze, l’agiografia di Sant’Antonio Abate detto anche il Grande. La sua santissima vita e le sue sante opere furono raccolte e scritte da Sant’Atanasio, Vescovo di Alessandria, che fu uno dei discepoli più devoti. Le agiografie, scritte così alacremente e compiutamente, permisero, dall’editto di Milano (313 d. C.) fino ai giorni nostri, di soddisfare quell’esigenza profonda, di ogni battezzato in Cristo, di camminare verso la santità fino al martirio nel Colosseo per mano di fiere o di uomini. Le prime comunità cristiane dell’Africa settentrionale risposero con un grande fervore fino a codificare loro per prime, con quella armena, un grande movimento spirituale ed ecumenico: il monachesimo. Questo ebbe varie forme, dal tipo eremitico al tipo comunitario, ma da sempre è la grande linfa spirituale della Chiesa insieme al clero secolare.
Antonio nacque intorno al 250 in Egitto, a Coma, oggi Qemans, città posta presso Eracleopoli sulla riva occidentale del Nilo. I suoi genitori erano cristiani ed economicamente benestanti. All’età di 20 anni fu orfano insieme ua una sorella più piccola. Per il grande amore e per la conoscenza dei Vangeli fu fortemente inspirato a lasciare la vita mondana fatta di ogni ricchezza. Antonio, soltanto dopo aver compiuto i suoi doveri di fratello maggiore affidando la sorella a delle donne pie e dopo aver provveduto al futuro di lei, si ritirò a vita monastica.
Antonio, da giovane monaco, si allontanò a Coma, in un luogo solitario come fecero molti cristiani per sfuggire alle persecuzioni. In quel luogo fecondo, seguendo in un primo momento un altro monaco Antonio, si diede alla preghiera e al lavoro e meditò profondamente le Sacre Scritture. Poi egli scelse la vita eremitica! In questa condizione ebbero inizio le tentazioni che egli combatteva e vinceva con la preghiera e con l’uso del segno della Croce. A 35 anni, preso ormai dalla grande volontà di ascesi, egli si inoltrò per il deserto e si incamminò verso i monti del Pispir, in direzione del Mar Rosso.
La sua scelta fu così radicale e sublime che altri monaci asceti vollero unirsi al monaco Antonio. Si formarono, allora, due comunità monastiche che diedero origine a due monasteri, uno a oriente del Nilo e l’altro sulla riva sinistra del fiume, ogni monaco aveva la sua grotta solitaria, ubbidendo però a un fratello più esperto nella vita spirituale; a tutti Antonio dava i suoi consigli nel cammino verso la perfezione dello Spirito e all’unione a Dio. L’eremita iniziò nello stesso periodo a manifestare uno i suoi carismi: la capacità di esercitare grazie spirituali e fisiche.
Nel 307 venne a visitarlo il monaco eremita Sant’Ilarione (292-372), che fondò a Gaza in Palestina il primo monastero. I due monaci ebbero un’accesa diatriba sulle questioni di fede e si confrontarono anche sull’esperienza eremitica.
Nel 311 Antonio, acclamato dal popolo, come santo, non esitò a lasciare il suo eremo e si recò ad Alessandria, dove imperversava la persecuzione contro i cristiani, ordinata dall’imperatore romano Gaio Galerio Valerio Massimino, noto come Daia (270-313), per sostenere e confortare i fratelli nella fede e desideroso lui stesso del martirio. I Romani, forse perché avevano paura e timore di lui, lo risparmiarono e non lo perseguitarono, ma, lui, non giurò fedeltà all’Imperatore.

Le sue uscite dall’eremo si moltiplicarono per servire la comunità cristiana, sostenne l’amico vescovo di Alessandria, Sant’Atanasio che combatteva l’eresia ariana, scrisse in sua difesa anche una lettera all’imperatore Costantino, che non fu tenuta di gran conto, ma fu importante fra il popolo cristiano.
Tornata la pace nell’impero e per sfuggire ai troppi curiosi che si recavano nel fortilizio del Mar Rosso, decise di ritirarsi in un luogo più isolato e andò nel deserto della Tebaide, dove prese a coltivare un piccolo orto per il suo sostentamento e di quanti, discepoli e visitatori, si recavano da lui per aiuto e ricerca di perfezione.
Antonio visse nella Tebaide fino al termine della sua lunghissima vita: poté seppellire il corpo dell’eremita San Paolo di Tebe con l’aiuto di un leone! È proprio per questo patrono dei seppellitori. Negli ultimi anni accolse presso di sé due monaci che lo accudirono nell’estrema vecchiaia. Morì a 106 anni, il 17 gennaio del 356 e fu seppellito in un luogo segreto.
La sua presenza a Montelparo è testimoniata da numerose opere d’arte tra cui una bella statua in carta pesta, della seconda metà del Seicento, situata nella chiesa matrice di San Michele Arcangelo nella nicchia destra del presbiterio.

La statua è completamente ridipinta in nero nelle vesti e anche le parti del volto e delle mani hanno subito ridipinture che causano l’impossibile lettura dell’opera originaria. Si intuisce, però, la capacità dell’autore nella resa bella del volto del Santo oramai vecchio e stanco, piegato dalle responsabilità di una vita santa, e dalle privazioni della vita ascetica. Il Santo Antonio, che si appoggia al bastone a forma di T (tau), è accompagnato dal maialino, e indossa il saio monastico nero: questi diventano gli attributi principali del Santo Uomo.

La plastica, la tridimensionalità e la lavorazione dei panneggi, ci fa ipotizzare che, la statua in carta pesta gesso, colla e legno di tipo processionale, è sicuramente la più antica e bella statua del Santo esistente in Parrocchia.
Sappiamo, pure che il numero dei malati che ricorsero a Sant’Antonio Abate, come taumaturgo, nel tempo di vita nel deserto, fu così elevato da obbligare, l’ordine degli Antoniani (ordine monastico fondato sull’esempio dell’Abate), a costruire ospedali sia per gli infermi sia per i pellegrini.

A Montelparo esisteva un ospedale gestito dai monaci. Senza dubbio, Sant’Antonio Abate, fu uno tra i santi più invocati da moribondi e peregrini.
Per finire una piccola curiosità! Dal 2014 la parrocchia di San Michele Arcangelo di Montelparo è guidata da Padre Agostino con l’aiuto di Padre Giovanni (suo vice). Entrambi appartengono alla Congregazione Clericale della Società del Divin Salvatore, conosciuta dai più come congregazione Salvatoriana. Il fondatore, il sacerdote tedesco Johann Baptist Jordan (1848-1918), studioso di lingue orientali, nel 1880 si recò in Palestina per approfondire la conoscenza dell’arabo. Proprio dalla Terra Santa maturò la decisione di istituire una congregazione missionaria riuscendovi con ottimi risultati!!!.
Mi chiedo: “la Storia della Chiesa non ha una sola origine?”.

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