Fulvio, vice questore a Bari a pochi giorni dalla pensione, Enrico il bancario, invece in pensione c’era andato da poco e stava per festeggiare il compleanno del nipotino. Poi Jolanda, che a settembre si sarebbe sposata, Antonio, che ad Andria era andato a recuperare un debito formativo. Sono solo alcuni di quei ventitré che a bordo dei due convogli ferroviari della linea Bari Nord, tra Corato e Andria, hanno perso la vita in un giorno che doveva essere come tutti gli altri e che invece si è trasformato in uno dei più drammatici incidenti ferroviari della storia recente italiana. “Vi prego, fateci entrare, fateci vedere i nostri parenti”. Inizia con questa lacerante richiesta la triste giornata di chi è chiamato non solo a piangere i propri cari ma anche al doloroso rito del riconoscimento delle salme. Un’operazione resa ancora più pesante dalle condizioni strazianti dei corpi recuperati dalle macerie di quei due treni. Ed è nelle stanze del reparto di Medicina Legale dell’ospedale Policlinico di Bari che si svolge la seconda durissima giornata che ha sconvolto l’intero Paese. Qui i parenti delle vittime arrivano in lacrime, accolti dai cappellani dell’ospedale, psicologi e crocerossine.Il loro cammino verso la porta che accede al reparto ospedaliero è composto e dignitoso, ma carico di un dolore senza eguali.
Non si deve dimenticare. Al Policlinico si completano i riconoscimenti delle vittime, lo conferma il medico Francesco Nardelli che sta collaborando con l’istituto di Medicina legale. “C’è stato il riconoscimento di tutti. È stata una tragedia immane. Ci sono tante storie. Si parla di gioco del destino”.
È continuo l’incedere di uomini, donne, ragazzi che non sanno ancora darsi pace, non sanno dare una risposta al proprio personalissimo “perché?”.
Escono da quelle stanze annichiliti, svuotati, come se qualcuno avesse strappato loro l’anima. Complici i quaranta gradi del Luglio barese qualcuno sviene. Un ragazzo non riesce a stare in piedi e viene sorretto dalla madre che piange e lo strattona. I volontari sono lì, a fare da cordone tra loro e i giornalisti che si assiepano a pochi metri dall’entrata di Medicina Legale. Donne e uomini della Protezione Civile che fin da ieri pomeriggio sono incessantemente a lavoro portando tende di soccorso, ma anche solo una bottiglietta d’acqua o una sedia per far riposare chi non resiste alla fatica del dolore. Una donna scende le scale e scoppia in lacrime gridando “Non abbandonateci. Non meritavano di morire così”. È la figlia di una delle vittime. Continua a chiedere giustizia affinché mai più accada una tragedia del genere. “Vi prego – rivolgendosi alla stampa – fate in modo che esca la verità perché ho paura che i soliti poteri forti possano nascondere tutto. Chi ha perso un figlio, un papà, una mamma merita giustizia. Vogliamo i nomi di chi ci ha portato via i nostri cari in questa maniera”. Dalle prime ipotesi, sembra si sia trattato di un errore umano, una mancanza in un sistema di comunicazione vetusto come quello dell’avviso telefonico, usato per quel troncone ferroviario tra Corato e Andria. “Non si può morire nel 2016 in questo modo. – dice un altro parente – Si arriva sulla linea e non si è capaci di fare un doppio binario”.
Un giorno fa, un secolo fa. La macchina dei soccorsi e quella della solidarietà hanno funzionato in modo egregio. Dal momento dello scontro sono costantemente al lavoro più di seicento persone.E centinaia di comuni cittadini si sono riversati nei centri trasfusionali dei nosocomi pugliesi per donare il loro sangue in favore dei feriti dell’incidente.Da Foggia a Bari, da Andria a Barletta le code d’attesa per la donazione sono durate ore. Una prova splendida della Puglia migliore. Un gesto incredibile che purtroppo però non serve a consolare quanti non rivedranno più i loro cari. Chi si ferma in un angolo a piangere accovacciato su se stesso, chi urla contro le mancanze della politica, chi chiede agli amministratori locali e non, impegnati nella solita spola che fa da cornice a tragedie del genere, una giustizia che i morti meritano, fanno pensare che non bastano i litri di sangue donati, il conforto dei religiosi, le bottigliette d’acqua che i volontari offrono. Il futuro di quelle ventitré persone si è spezzato la mattina del 12 Luglio 2016 su un treno regionale pugliese, in un terrificante botto in mezzo al niente. Enrico non vedrà mai più i suoi due nipotini, Pasquale, uno dei due macchinisti, non potrà più accompagnare all’altare sua figlia e Jolanda non potrà più sposare il suo Marco. Un giorno fa tutti si dicevano arrivederci. Un giorno che sembra un secolo. Sabato ci saranno i funerali. L’ultimo saluto a chi ha solo avuto la sfortuna di comprare il biglietto sbagliato per andare un giorno al mare, per partire per le vacanze o solo per abbracciare il suo amore.
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