DIOCESI – Abbiamo avuto l’occasione di intervistare don Luigi Verdi, fondatore della fraternità “Romena”. Don Luigi insieme a dei ragazzi della sua importante realtà è stato spesso ospite nella nostra diocesi di San Benedetto del Tronto in particolare presso la parrocchia della SS. Annunziata.
Don Luigi come è nata la tua vocazione?
La mia vocazione è nata in età adulta perché prima io non vivevo la vita del cristiano ed ero abbastanza lontano. Poi, però, ho conosciuto un prete nell’oratorio che mi attirò per la sua “normalità”: non mi chiedeva, infatti, di credere in Dio subito o di tornare alla Messa ma mi chiedeva semplicemente di camminare, di capirci qualcosa, di non chiudermi. La mia vocazione è quindi legata a questa figura. In seguito, infatti, grazie a tutte le esperienze di cammino, di viaggi e di incontri che mi ha fatto fare, sono riuscito veramente in questo cammino a intuire almeno tre cose: la prima è che si potevano abbracciare le mie radici, fatte della mia povertà, della difficoltà di comunicare per via della timidezza. Vedevo che nella Bibbia i profeti più grandi erano molto timidi ed avevano patito molto e proprio da quella timidezza, da quel soffrire erano riusciti a trarre il meglio di se stessi: mi chiedevo quindi se anch’io potevo far così. Credo che un’ulteriore contributo sia giunto dalla mia mamma, che era una persona molto timida e molto nascosta. Quando eravamo già quattro fratelli, nacque la nostra sorellina e all’epoca lavorava solo nostro padre. Lei andava in una piccola chiesa dove lasciava un’elemosina a San Giuseppe, egli in fondo è il custode. L’idea del poco che hai lo dai lo stesso fidandoti proprio di qualcosa che razionalmente non ha logica, perché alla fin fine potresti tenere quell’offerta per te e comprarci qualcosa: quello, invece, è un fidarsi profondo secondo me, verso qualcosa che è più grande di te. È come se loro avessero fatto tutto il possibile e sentivano che quel margine in più potesse venire solo da Dio.
Riprendendo queste belle parole verso la fiducia, questo atto di affidamento che è stato ripreso proprio nei giorni scorsi durante questo convegno che si è svolto qui a Romena… cosa potrebbe dire a un giovane oppure a una famiglia, o ancora ad un prete?
Io penso che fidarsi ti toglie l’ansia, perché le persone ansiose sono quelle che non fidano di nessuno e che stanno a calcolare tutto, che hanno paura di tutto e alla fine “vivono male e muoiono peggio”. Io penso inoltre che fidarsi è anche una cosa intelligente: quando gli apostoli dopo la pesca notturna non riescono a prendere nulla, incontrano Gesù che li esorta a tornare nuovamente in mare a gettare le reti. Così, quando hai perso la fiducia, l’unica possibilità è quella di tornare a fidarsi, perché se non vuoi entrare in preda alla disperazione ti devi soltanto fidare di nuovo. La fiducia è molto legata alla fede perché è irrazionale: non potendo calcolare ogni cosa di una persona, dire “mi fido di te” vuol dire accettare che “non posso sapere tutto di te”, cioè essere consapevole che potrei essere tradito o ingannato ma farlo comunque perché non ho un’altra possibilità se non fidarmi. Io non credo a quella fede troppo prepotente, troppo egocentrica che si esplica in affermazioni del tipo “Dio c’è”. La fede vera, dice San Giovanni della Croce, è chiudere gli occhi e procedere al buio; la fede vera è il Venerdì Santo, quando tutto crolla e le donne vanno a preparare i profumi perché pensano che qualcosa succederà. La fiducia, quindi, è qualcosa di irrazionale e molto legata alla fede, è fidarsi della parte migliore degli altri. Io più che fidarmi di questo luogo di Romena, mi fido di Romena perché c’era qualcuno prima di me e ci sarà qualcuno dopo di me, perché è un luogo sacro che ha un’energia spaventosa che va oltre di me: io mi fido di questo. Poi, Romena con la sua gente e la fraternità presente nel suo territorio, ti può deludere o tradire, ti può anche esaltare o distruggere, però ti fidi di qualcosa che va oltre quello che vedi e ti sembra di capire.
Quest’anno ricorrono i venticinque anni dalla fondazione della fraternità di romena. Ripercorrendo questi anni cosa ci può dire su come è nata la fraternità, quali sono stati i carismi e qual è la prospettiva per il futuro?
È nata venticinque anni fa da una mia crisi quando ero già sacerdote: mi sono allontanato per un anno tra il deserto e la Bolivia per cercare di capirmi ma poi chiesi al Vescovo di tornare qui per aiutare chi fosse in crisi vista la mia esperienza. La crisi vera in realtà l’ho avuta un mese prima di tornare, perché non sentivo di poter aiutare gli altri senza capire il nocciolo della mia. I due veri motivi erano legati alla timidezza e le mie mani tagliate per colpa di una medicina presa da mia mamma ma trovai un salmo (la pietra scartata è divenuta la pietra angolare) e da lì mi sono chiesto perché le cose più brutte di me come gli occhi impauriti e le mani non potessero invece diventare il meglio di me. Così cercai di cambiare, guidato anche dalla Bibbia che dice che si cambia con forti grida e lacrime: se vuoi crescere non puoi non fare brutte figure, se non hai voglia di fare brutte figure, non crescerai mai. La mia idea quindi è stata quella di stare un anno intero a guardare tutti negli occhi senza scappare e ho cominciato a dipingere e creare con queste mani: solo allora ho potuto iniziare a dire che il meglio di me sono gli occhi e le mani e oggi quello che era più brutto di me è il meglio che io ho. Quindi, il nostro messaggio di Romena è che ogni ferita e ogni momento duro della vita può diventare una grande occasione per ribaltarla. Il problema è smettere di lamentarsi ed usare la contrarietà e le cose che non sono andate bene per renderle delle benedizioni perché altrimenti non cambia nulla. Io all’inizio non ho voluto creare una comunità ed ho pensato alla fraternità, che da più l’idea di “porto di mare”; ultimamente, però, non riuscivo nemmeno più ad accettare l’idea di dare un nome a questa realtà che servisse solo per dire “sono qualcuno”, senza che però ci fosse una corrispondenza interna. Così ho detto basta a queste definizioni e ho scelto “Romena” perché ho capito che siamo “Romena”, cioè un punto di sosta per il cammino dove si accolgono tutti, credenti o atei; seconda cosa è bellezza come la pieve e quindi si cura la bellezza, terza cosa è la plebe come le chiese dei contadini fuori dalle città, monasteri e palazzi. Tutto questo siamo noi, perché questo ci riesce e questo voglio che sia, togliendo tutto il resto intorno. Ciò mi ha tolto l’ansia del futuro perché, dopo aver creato una cosa così grande come “Romena”, nel futuro voglio semplicemente tornare a vivere con i mezzi che ho a disposizione ed essere semplicemente fedele a quello che c’è.
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