carcere

DIOCESI – Prosegue la nostra “rubrica dal carcere” leggi i precedenti articoli curata dai volontari della nostra diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto del gruppo “Il Mosaico”.
Questa settimana i volontari hanno chiesto ai detenuti di riflettere sul “perdono“.

La parola perdono ci è stata insegnata fin dall’inizio dei tempi, quando l’uomo ha cominciato a prendere coscienza di se stesso e delle cose che lo circondavano e l’hanno messa in pratica nella sua forma più pura.

Non sto a fare elenchi, ma vi dico l’esempio della persona che l’ha vissuta nel modo più alto del suo significato: Nostro Signore Gesù Cristo.

Secondo il mio pensiero ci sono innumerevoli tipi di perdono, di cui viene distorto il senso che dovrebbe avere; è l’altra faccia del perdono. Siamo circondati da persone sature del loro ego, da falsi buonismi che dovrebbero rendere migliore la nostra società, da una fede professata solo per avere la sensazione di sentirsi più buoni ed espiare così le proprie colpe, da coscienze ciniche e false che vivono in nome di un perdono mascherato. Siamo circondati da uomini succubi della loro falsa innocenza, delle infinite verità nascoste, che sembrano agli occhi di tutti, la perfezione della bontà.

Il perdono è un sentimento molto più profondo di tutto ciò, è la sintonia tra cuore, anima e l’universo che ci circonda; è la voglia di cambiare ciò che è logoro e sbagliato per far si che diventi l’immenso potere di dare a tutti un’altra possibilità.

Tutto ciò deve partire dai padri e dalle madri che devono infondere il senso del perdono ai loro figli, che a loro volta lo insegneranno ai loro figli e ai figli dei figli.

Deve partire da coloro che ci governano, immersi nel loro potere, che hanno spesso dimenticato tutti i valori della vita. Io chiedo loro di voltarsi a guardare nel loro passato, di ricordare la carezza di un padre, il sorriso di un figlio, un bacio della persona amata; ricordino però anche i loro errori e le loro decisioni sbagliate. Io chiedo loro di guardare a noi che abbiamo sbagliato e capito i nostri errori, che siamo qui, nel dimenticatoio della società, emarginati e continuamente giudicati da tutti, tenuti lontano alla larga da tutto ciò che prima era la nostra vita e che adesso non ci spetta più perché siamo carcerati.

Questo non è un mio scritto, ma è di tutte quelle persone di cui ho raccolto i pensieri.

Io sono C. e ho sete di perdono, loro sono gli invisibili, nascosti come la più brutta delle cose, ma con tanta voglia di riprendersi solo quel po’ che gli rimane della loro vita, dei loro sentimenti, rimasti lì ad aspettare fin quando non arriva la parola “FINE PENA” e tutti hanno sete di perdono.

Firmato: uno dei tanti che aspetta la cosa più importante del mondo…LA LIBERTÀ.

C.C.

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