Alla fine è arrivata all’Avana la sospirata firma sull’accordo di pace tra Governo colombiano e Farc. E’ arrivata mercoledì 24 agosto senza la solennità che forse era prevista, senza la presenza di capi di Stato e i vertici dell’Onu. Senza annunci e fanfare. E’ arrivata come cade dall’albero un frutto maturo. Ormai la firma, dopo 50 anni di guerra e 3 di trattative, non poteva non arrivare. Sembrava quasi un dettaglio tra le due date davvero decisive: quella della firma del definitivo cessate il fuoco, avvenuta lo scorso 22 giugno, e quella del plebiscito (da settimane non si parla d’altro nel mondo politico colombiano): il 2 ottobre sarà il popolo ad esprimere il suo giudizio sull’accordo di pace.
Le settimane intercorse tra la fine di giugno e la firma di mercoledì sono servite in realtà a “serrare i bulloni” dell’accordo, basato su cinque punti:
la questione agraria con una più equa ridistribuzione della terra, il futuro politico delle Farc – che potranno presentarsi alle elezioni del 2018 già certe di poter comunque contare su un diritto di tribuna di 5 seggi per ciascuna delle due Camere -, la fine del conflitto e il reinserimento sociale degli ex guerriglieri, la lotta al narcotraffico, la riparazione per le vittime e la giustizia transizionale.
Durante gli oltre tre anni di trattative era stato via via raggiunto l’accordo su ciascuno dei 5 punti, ma restavano ancora dei dettagli da definire, soprattutto sul terzo e sul quinto.
Le Farc avranno 180 giorni di tempo per la consegna graduale delle armi secondo un’agenda già definita. I guerriglieri saranno inizialmente concentrati in 23 zone del paese e in otto accampamenti, per essere poi inseriti nella società. Riceveranno inizialmente 620mila pesos mensili, pari a poco meno di 200 euro, il 90 per cento di una paga base.
E’ previsto che le vittime siano risarcite e sarà attivata una Giurisdizione speciale per la Pace, che sanzionerà tutti coloro (non solo guerriglieri, ma anche Esercito e paramilitari) che nel corso del conflitto hanno commesso delitti gravi e concederà un’amnistia a chi invece si è macchiato di colpe meno gravi. Il Tribunale per la Pace sarà composto da 20 giudici colombiani e 4 stranieri (è stata ipotizzata anche la presenza di un rappresentante del Vaticano). Intanto ieri
il presidente Juan Manuel Santos ha proclamato da lunedì prossimo il cessate il fuoco e la fine del conflitto più lungo e sanguinoso del continente.
Ora però resta il delicato passo del plebiscito del 2 ottobre. Può sembrare strano che si nutra qualche dubbio sul suo esito. Saranno proprio i colombiani a dire no ad un futuro di pace? Sembra improbabile, eppure qualche sondaggio dà il “Sì” solo in lieve vantaggio. E nell’anno dei plebisciti a sorpresa (Cameron e Renzi ne sanno qualcosa) la prudenza non è mai troppa. L’ex presidente Alvaro Uribe Vélez ha scatenato una guerra senza quartiere contro l’accordo. In un paese in guerra da 50 anni, con milioni di persone in qualche modo vittime del conflitto, la riconciliazione non è cosa scontata. Chi è contro le Farc ritiene che l’accordo favorisca ingiustamente i guerriglieri e la loro impunità. Da sinistra si ricordano sinistri precedenti degli scorsi decenni, quando molti dei guerriglieri del movimento M19 che avevano lasciato la lotta armata furono in seguito trucidati. E poi non ci sono solo le Farc… resta attivo l’altro gruppo storico della guerriglia, l’Eln. Per non parlare della cosiddette Bacrim, le bande che hanno preso il posto delle Auc, le storiche milizie paramilitari.
“E se la pace non è con tutti, non è vera pace”,
scandisce al telefono da Bogotá padre Darío Echeverri, presidente della Commissione per la Riconciliazione e la Pace della Conferenza episcopale colombiana. Padre Darío da parecchi anni segue i tentativi di arrivare alla pace, più di ogni altro dentro la Chiesa colombiana e in questo momento usa due parole: speranza e prudenza: “La mia opinione personale e quella della Chiesa colombiana è che la firma rappresenta un momento di speranza, un’opportunità per il Paese. E’ però anche vero che ancora non tutto è stato fatto per dire che la Colombia ha raggiunto la pace”. Quando gli chiediamo il motivo per cui la Chiesa colombiana non prende posizione per il “Sì” al plebiscito, mantenendo la sua neutralità, risponde prontamente: “Gli organismi internazionali mostrano grande entusiasmo ma non conoscono la reale situazione della società colombiana, il clima del paese. Dall’Italia è difficile comprendere gli umori del nostro popolo. La posizione della Chiesa colombiana è prudente, ma questa prudenza è giustificata e dettata da senso di responsabilità”. Del resto, “potremmo parlare per ore di quello che stiamo facendo come Chiesa colombiana per la riconciliazione”. Padre Echeverri parla dell’opera
di sensibilizzazione a tutto campo, delle iniziative di educazione alla pace che si stanno promuovendo diocesi per diocesi, coinvolgendo soprattutto i parroci, “coloro che più di tutti parlano con la gente”, dell’attenzione prioritaria alle vittime del conflitto.
Non a caso il comunicato ufficiale dei Vescovi emesso dopo la firma della pace, firmato dal presidente, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, esorta ancora una volta il Governo a mettere in atto “una pedagogia sugli accordi di pace” e un’opera di informazione capillare in vista di “un voto informato e in coscienza” in occasione del plebiscito”. Come dire che la pace, in una società devastata dalla violenza, non si costruisce con i proclami e i facili entusiasmi ma con un lavoro quotidiano nella formazione delle coscienze.
Padre Echeverri conclude esprimendo nuove speranze anche per l’avvio dei colloqui di pace anche con l’Eln, rispetto ai quali la Chiesa si è fatta parte attiva, in accordo con la Presidenza della Repubblica. In merito poi alla possibile partecipazione vaticana al Tribunale per la pace afferma: “Ho grande fiducia in quelle che saranno le scelte di papa Francesco. Anche perché so che, oltre al Nunzio, nella Curia vaticana e in Italia ci sono persone che conoscono bene la situazione della Colombia e il sentire del popolo, tra i quali il card. Parolin, il card. Stella, già nunzio a Bogotá, l’arcivescovo di Bologna Zuppi. Il Papa saprà prendere le giuste decisioni”.
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