«Ora la situazione è più tranquilla, ma fino a qualche giorno fa non potevamo uscire di casa» riferisce il presule raccontando i lunghi giorni di combattimenti tra gli eserciti curdo e siriano iniziati il 16 agosto scorso. Gli scontri hanno colpito anche l’arcivescovado. Un colpo di mortaio è arrivato ad appena 40 centimetri da me». Monsignor Hindo tramite il nunzio apostolico a Damasco ha chiesto prima il sostegno degli Stati Uniti e poi, avvertito della presenza di un generale dell’esercito russo, della Federazione Russa. «Da diversi giorni chiedo che vengano smantellati i check-point della città, che non servono ad altro che ad alimentare le tensioni e si trovano in maggioranza nell’area abitata dai cristiani». Prima dell’inizio degli scontri tra i curdi e le forze lealiste, monsignor Hindo aveva offerto l’arcivescovado siro-cattolico come sede d’incontro per una negoziazione tra le parti finalizzata alla rimozione dei check-point, introdotti nel giugno 2015 quando lo Stato Islamico si era impadronito di gran parte di Hassaké. Ora l’Isis è a 70 chilometri.
Ma pur non rappresentando al momento una minaccia diretta, gli uomini di al-Baghdadi impediscono l’arrivo di aiuti umanitari e beni di prima necessità. «Siamo circondati – afferma il presule – A nord il confine con la Turchia è chiuso, a est ci sono l’Isis e i curdi, a ovest e a sud ancora lo Stato Islamico. Niente passa di lì, tutto giunge in aereo. Stanno arrivando dei carichi di cibo ma non basteranno neanche per il 5% della popolazione che qui conta un milione e 200mila persone». I pochi rifornimenti che riescono a raggiungere Hassaké e Qamishli via terra, devono pagare una “tassa” allo Stato Islamico, ma spesso gli estorsori non si accontentano. «Una volta su cinque si impadroniscono comunque di tutto. Tra poco cercherò di far giungere un generatore elettrico che ho acquistato da Aleppo. Mi sono stati chiesti 2 milioni di lire siriane. Ma neanche se pagassi quella somma sarei sicuro di riceverlo».
In oltre cinque anni di guerra monsignor Hindo ha sempre sostenuto la popolazione, senza alcuna distinzione di fede e occupandosi dei bisogni più disparati: dalla pulizia, all’emergenza rifiuti, agli aiuti alimentari. «Non sarei vescovo e nemmeno cristiano se facessi preferenze in base alla religione. Oggi molte famiglie sopravvivono con pane e the, a colazione, pranzo e cena. The amaro, perché lo zucchero è troppo caro. Un giorno una donna che ho aiutato è venuta a baciarmi i piedi perché finalmente i suoi figli, dopo mesi, avevano mangiato pane e pomodoro».
A metà agosto Aiuto alla Chiesa che Soffre ha approvato un contributo di un milione e 500mila euro per le popolazioni in difficoltà ad Aleppo e Hassaké. Dall’inizio della crisi siriana, nel marzo 2011, ad oggi Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato quasi 15 milioni di euro.
Continua inoltre la campagna di ACS-Italia per chiedere alle istituzioni italiane di riconoscere come genocidio i crimini perpetrati dall’Isis ai danni delle minoranze religiose in Iraq e in Siria. Una campagna che ha raccolto diverse migliaia di firme e che trova oggi un’ulteriore motivazione nella notizia del ritrovamento di oltre 70 fosse comuni in Iraq e Siria. Un numero destinato a salire, dal momento che si ritiene ve ne siano molte altre nei territori ancora controllati dallo Stato Islamico.