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Papa: “No ad una fede ‘fai da te’, Dio non è un rifugio psicologico”

Papa

Zenit di Salvatore Cernuzio

Per alcuni Dio è un “falso idolo” di cui usare il nome “per giustificare i propri interessi o addirittura l’odio e la violenza”. Per altri “è solo un rifugio psicologico in cui essere rassicurati nei momenti difficili” e Cristo “un buon maestro di insegnamenti etici, uno fra i tanti della storia”. Altri ancora “si ritagliano una fede ‘fai da te’ che riduce Dio nello spazio limitato dei propri desideri e delle proprie convinzioni”.

Nulla di tutto questo corrisponde a verità. Chi è, allora, Dio? Qual è la sua vera immagine? È a partire da tali quesiti che si snoda la catechesi del Papa per l’Udienza generale di oggi, in piazza San Pietro. In essa Francesco fa proprio il monito di Gesù, “Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”, rivolto a chi “costruisce immagini di Dio che gli impediscono di gustare la sua reale presenza”.

Scandalo significa “ostacolo”, spiega il Pontefice. Gesù ammonisce su un particolare pericolo: “Se l’ostacolo a credere sono soprattutto le sue azioni di misericordia, ciò significa che si ha una falsa immagine del Messia. Beati invece coloro che, di fronte ai gesti e alle parole di Gesù, rendono gloria al Padre che è nei cieli”.

Coloro che considerano Dio un idolo, un rifugio, un buon maestro, sono infatti soggetti ad “una fede ripiegata su sé stessa, impermeabile alla forza dell’amore misericordioso di Gesù che spinge verso i fratelli”. “Questa fede – ammonisce il Papa – non è conversione al Signore che si rivela, anzi, gli impedisce di provocare la nostra vita e la nostra coscienza”. Ancora peggio è chi  “soffoca la fede in un rapporto puramente intimistico con Gesù, annullando la sua spinta missionaria capace di trasformare il mondo e la storia”.

“Noi cristiani crediamo nel Dio di Gesù, il cristiano crede nel Dio di Gesù Cristo, e il suo desiderio è quello di crescere nell’esperienza viva del suo mistero di amore” sottolinea Francesco, richiamando il brano evangelico di Matteo che descrive il “buio” attraversato da Giovanni Battista per spingere ad “entrare più profondamente nel mistero di Gesù, per cogliere la sua bontà e la sua misericordia”.

Il profeta è in carcere ma manda i suoi discepoli da Gesù, a fargli una domanda molto chiara: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Egli “attendeva con ansia” quel Messia che nella sua predicazione “aveva descritto a tinte forti, come un giudice che finalmente avrebbe instaurato il regno di Dio e purificato il suo popolo, premiando i buoni e castigando i cattivi”.

Lo “stile” di Gesù nella sua missione pubblica però è ben diverso, e Giovanni “soffre nel doppio buio, quello della cella e quello del cuore” perché “non capisce questo stile e vuole sapere se è proprio Lui il Messia, oppure se si deve aspettare un altro”. Come sempre la risposta di Cristo sembra sviare dalla domanda, rivelando qualcosa di più profondo: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

L’intento è chiaro, sottolinea Bergoglio, Gesù “risponde di essere lo strumento concreto della misericordia del Padre, che a tutti va incontro portando la consolazione e la salvezza, e in questo modo manifesta il giudizio di Dio”. “I ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, i sordi, recuperano la loro dignità e non sono più esclusi per la loro malattia, i morti ritornano a vivere, mentre ai poveri è annunciata la Buona Notizia”.

Questa è “la sintesi dell’agire di Gesù”, che “in questo modo rende visibile e tangibile l’agire stesso di Dio”, afferma il Papa. Chiaro è dunque “il messaggio” che la Chiesa riceve da questo racconto della vita di Cristo: “Dio non ha mandato il suo Figlio nel mondo per punire i peccatori né per annientare i malvagi. A loro è invece rivolto l’invito alla conversione affinché, vedendo i segni della bontà divina, possano ritrovare la strada del ritorno”, rimarca il Pontefice.

La giustizia predicata dal Battista si manifesta dunque “in primo luogo come misericordia”. E “i dubbi del Precursore non fanno che anticipare lo sconcerto che Gesù susciterà in seguito con le sue azioni e con le sue parole”. Si comprende, allora, la conclusione della risposta di Gesù: «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Allora “impegniamoci – è l’esortazione conclusiva del Santo Padre – a non frapporre alcun ostacolo all’agire misericordioso del Padre, ma domandiamo il dono di una fede grande per diventare segni e strumenti di misericordia”.