Incoraggiare speranze e sentieri di pace ripartendo dai declivi montuosi del Caucaso. Dopo il viaggio in Armenia di giugno, Papa Francesco il prossimo 30 settembre riprenderà il suo viaggio dalla Georgia, repubblica ex sovietica che da tempo registra crescenti tensioni fra la maggioranza ortodossa e le minoranze, fra le quali quella cattolica. La fede ortodossa, per alcuni georgiani, è vissuta come parte integrante dell’identità nazionale, una convinzione che porta a vedere gli appartenenti ad altre confessioni come una minaccia ai propri valori. Questo nonostante la presenza dei cattolici in Georgia (come anche di musulmani, armeni ed ebrei) non sia esattamente questione dell’altro ieri: i seguaci della Chiesa Romana sono infatti attestati fin dai tempi dello scisma del 1054.
Padre Filippo Aliani, frate cappuccino, è arrivato ad Akhaltsikhe nel 2013 e assieme ad altri sacerdoti e suore sta cercando di ricostruire la comunità cattolica della regione del Samtskhe-Javakheti, zona al confine della Turchia dove la presenza cattolica è più consistente. L’apertura della missione ha segnato un ritorno dei cappuccini nel paese, dal quale erano stati cacciati nel 1854: nonostante questo passo in avanti, i rapporti fra ortodossi, che rappresentano circa l’82% della popolazione, e i cattolici, appena l’1%, non sono proprio idilliaci.
“La situazione per i cattolici è difficile – racconta padre Filippo – sono considerati eretici e scismatici, cosa che rende il dialogo molto complicato. La chiesa cattolica è identificata con l’Occidente e quindi con tutte le idee liberiste e libertine che esso porta”.
Uno dei problemi che soprattutto i giovani si trovano ad affrontare è relativo al matrimonio: all’interno di una comunità così piccola come quella cattolica non è infatti raro veder celebrare matrimoni misti. Ma se l’amore è cieco e non guarda al credo religioso, le tradizioni e il pregiudizio sono invece duri a morire:“Se si sposano nella Chiesa Ortodossa, cosa che generalmente avviene per le pressioni della famiglia interessata, i cattolici vengono ribattezzati. Non si riconosce la validità del battesimo cattolico, come se fosse un’altra religione”, spiega padre Filippo.“I giovani non vorrebbero farlo, ma alla fine accettano. Questo comporta un allontanamento sia dalla vita della chiesa cattolica, sia da quella ortodossa, a causa della violenza subita e della diversa sensibilità religiosa”. Tanto che molti genitori cattolici, continua padre Filippo, hanno smesso di battezzare i bambini, lasciandoli liberi di scegliere una volta adulti: “E’ una scelta che nasce dalla preoccupazione di non creare problemi ai figli, ma questo comporta una mancanza di appartenenza alla chiesa e quindi un allontanamento dalla vita di fede”. Un tratto comune in un paese che risente ancora dell’avversione alla vita spirituale perseguita durante gli anni del comunismo: “Tanti si dichiarano cattolici o ortodossi, ma lo sono solo per tradizione di famiglia. Di fatto ciò si limita a qualche segno di croce quando si passa davanti alla chiesa o ad accendere una candela. La fede, la proposta di Cristo è cosa ben diversa”.
Concentrarsi sulle nuove generazioni è quindi un passo fondamentale non solo per costruire una comunità cattolica più solida, ma anche una società georgiana più aperta e tollerante: “Ci stiamo dedicando alla vita parrocchiale, con la celebrazione dei sacramenti, la visita agli ammalati e soprattutto l’oratorio. Attraverso i grest, iniziati lo scorso anno con dei volontari italiani, siamo riusciti a creare un bel giro di giovani: sono ragazzini cattolici, ortodossi e armeni. Uno degli intenti è quello di valorizzare l’integrazione, la tolleranza e la reciproca conoscenza e rispetto. E inoltre sensibilizzare a un discorso di fede coloro che hanno un contatto scarso con la spiritualità”.
La speranza di molti georgiani è che la visita del Santo Padre possa portare avanti quel dialogo ecumenico che la comunità cattolica, sopravvissuta negli anni più bui grazie ai preti che lavoravano in clandestinità e alle donne che si riunivano a recitare il rosario, chiede per veder rispettata la propria scelta di fede. Una scelta che per padre Filippo si realizza pienamente nell’essere missionari: “Credo che la missione debba diventare il paradigma della vita della Chiesa, ovunque essa sia, perché questo è stato il messaggio di Gesù: il suo farsi prossimo, il promuovere una cultura della fraternità vera, vissuta nella quotidianità. Fare sentire che Dio è vicino all’uomo. Credo che la carità sia la strada della vera e profonda evangelizzazione perché rivela il volto paterno di Dio”.