Di Alberto Campaleoni

“Non ho voglia di tornare a scuola”. Quanti hanno sentito qualche ragazzino, qualche loro figlio, dire così nei giorni scorsi, all’approssimarsi dell’avvio dell’anno scolastico? E quanti, invece, hanno notato un’agitazione crescente, un “nervosismo” sintomo di attesa, anche di curiosità… di voglia di fare.
Certo, molto dipende dalle età – un preadolescente/adolescente per cui tutto o quasi è “peso” non ha lo stesso atteggiamento di un bambino magari alle prime esperienze di scuola – ma l’appuntamento con la prima campanella è di quelli che non lasciano indifferenti. Non solo gli studenti, intendiamoci. Anche i genitori, gli adulti, vi si avvicinano con attese ed emozioni evidenti e talvolta contrastanti: dal senso di “liberazione” da un’estate a distanza (troppo) ravvicinata con i figli, all’apprensione per il nuovo che aspetta i loro piccoli, sempre meno “controllabili” e sotto protezione. E poi ci sono le preoccupazioni per gli impegni che si materializzeranno durante l’anno, lo studio, i voti, i risultati.
Preoccupazioni che i ragazzi vivono in modo diverso: vengono “dopo”. Genera solitamente infatti più ansia pensare ai compagni di classe piuttosto che al voto di matematica. Anche in questo caso le età fanno la differenza. E il solito preadolescente/adolescente avrà il pensiero agli amici da incontrare di nuovo, ai rituali del gruppo dal quale verrà risucchiato o terribilmente escluso, ai look da esibire per essere qualcuno. Non c’è tanto posto, in questo orizzonte, per il pensiero allo studio, alle materie, ai voti, fantasmi più futuri e defilati che spauracchi incombenti.
Non bisogna però equivocare: per quanto diversi i modi di vivere il ritorno in classe, per tutti, piccoli e grandi, resta un appuntamento importante, decisivo. E un denominatore comune, tra età e caratteri diversi, è quello dell’inquietudine. Perché il ritorno – o l’inizio, il primo, per molti – a scuola apre un mondo per certi versi sconosciuto anche a chi ha già fatto il callo alle campanelle. Ogni volta, infatti, si ricomincia e ci si rimette in gioco. E quel preadolescente/adolescente che pensa al gruppo e si avvia svogliato verso la porta della scuola, pensando a banchi e libri come a una noia da aggirare con le chiacchiere, la musica e tutto quanto fa contorno, in realtà sa bene di dover giocare una partita decisiva, di dover trovare su quel campo – fatto, lo capisce a pelle e ha ragione, anzitutto di relazioni – il bandolo della matassa della propria esistenza.
Questo è quel che succede ogni volta che si ricomincia.
Ed è una fatica, come è una fatica ogni attività che coinvolge in profondità le dinamiche personali. I ragazzi, i più giovani, hanno bisogno di aiuto per affrontare un appuntamento così importante che poi si traduce in impegno quotidiano per settimane e mesi. L’aiuto delle loro famiglie, che anzitutto dovrebbero essere capaci di comprendere la posta in gioco. L’aiuto degli insegnanti, capaci di accogliere e ascoltare, indirizzare e orientare, costruire rapporti autentici nelle loro classi. La scuola, infatti, è da sempre una complessa alchimia che mescola tanti ingredienti diversi: un’organizzazione che si vorrebbe perfetta (e invece capita che faccia acqua), competenze di professionisti senza macchia e senza paura, contenuti di studio che sarebbe bello se fossero ogni volta attraenti, libri, lavagne, tablet… Ma soprattutto bambini e bambine, ragazzi e ragazze, uomini e donne. Persone, emozioni, attese, paure, entusiasmi, pianti.
A tutti, buon anno.