Ieri sera, il Card. Angelo Bagnasco ha aperto il XXVI Congresso Eucaristico Nazionale. l’Arcivescovo di Genova nella Santa Messa ha dato voce a una Chiesa che, dall’incontro con il suo Signore, si fa messaggera di luce e di speranza per tutto il Paese. È una Chiesa che si riunisce per “ritrovare una serena ansia apostolica, così da dire ovunque che Gesù è il Signore, senza preferenza di persone e senza equilibrismi di inutile prudenza”; una Chiesa dal “tratto largo e abbondante del braccio, e soprattutto del cuore”; una Chiesa che vive di quella carità che “non ha muscoli da esibire, ma piccole anfore da portare, anfore comunque capaci di dissetare la sete dei poveri nel corpo e nello spirito”.
Cardinale Bagnasco “Nell’ora in cui si spegne il giorno, in tutte le nostre Diocesi ha inizio il XXVI Congresso Eucaristico Nazionale. Ora solenne questa, gravida di commozione e di grazia: stretti nel vincolo dell’unica fede, Pastori e Comunità elevano a Gesù-Eucaristia una sinfonia di cuori, una corale preghiera di lode. Vorremmo che l’Italia si accorgesse che sta accadendo qualcosa nel suo grembo, qualcosa di vero e di bello che la riguarda da vicino. Il nostro pensiero corre al Santo Padre Francesco: Egli è con noi con quell’affetto caldo e paterno che tutto il mondo conosce e ricambia. Lo ringrazio per aver voluto nominare me come suo Inviato Speciale per questo momento tanto significativo. A Lui rinnoviamo il nostro affetto filiale e la nostra pronta comunione.
La luce di Cristo
In quest’ora benedetta e attesa, il nostro servizio di credenti ci rende messaggeri, animati dall’umile e l’appassionato ardore di annunciare a tutti e a ciascuno che “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti” (Francesco, EG 164). Intendiamo annunciare che Dio non è lontano, che nessuno è orfano in questo angosciato tempo, che non siamo vagabondi senza meta, che la solitudine non è il nostro destino, che l’ingiustizia non è l’ultima parola… perché tutti abbiamo una casa che ci aspetta. Questa casa, più che un luogo, è un cuore, il cuore di Cristo. L’Eucaristia è il sacramento di questo cuore umano e divino, il volto di quella misericordia di Dio che il Papa ci fa vivere in quest’anno di grazia; è il “nascondiglio” – l’Eucaristia – della sua reale presenza: lasciarsi afferrare dal mistero eucaristico vuol dire, ogni volta di nuovo, consegnarsi “per Lui, con Lui e in Lui” all’eterna Luce della Trinità.
Proprio questa Luce, che alimenta la lampada della fede, vorremmo offrire ai fratelli e alle sorelle di questo amato Paese. Sappiamo che – nonostante segni contrari – un anelito, un’attesa, un desiderio di senso plenario batte anche nel cuore del nostro tempo. Non dobbiamo aver paura dell’apparente sordità, ma lasciare che questo battito salga lentamente dall’anima dell’uomo fino a farsi ricerca e scoperta. Portare la luce; non è forse questa la missione della Chiesa? Sì, è questa, come ci sollecita costantemente il Santo Padre: “Tutti siamo chiamati a questa nuova uscita missionaria (…) La gioia del Vangelo (…) è una gioia missionaria” (id 20, 21).
Ma uscire da dove? E come? E perché?
Una Chiesa missionaria
Riconosciamolo: siamo tutti esposti al pericolo di rallentare il passo e di assestarci in uno schema che frena l’impegno: può succedere nella vita personale come nella comunità cristiana e nella stessa società. È, dunque, una tensione interiore che deve abitarci; una tensione richiamata dall’Apostolo Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!”. Come credenti, siamo qui per ritrovare una serena ansia apostolica, così da dire ovunque che Gesù è il Signore, senza preferenza di persone e senza equilibrismi di inutile prudenza. Possa dimorare in noi l’ardore del seminatore del Vangelo che sparge a larghe mani senza calcoli: lo fa – potremmo dire – perfino senza criterio, rischiando di perdere la semente sulla strada, tra le pietre e tra i rovi.
Proprio perché la Chiesa non è un’organizzazione, ma il Corpo di Cristo – lo spazio d’incontro con Lui, la comunità dei discepoli, sacramento di luce, mistero di salvezza e di grazia – il nostro compito non è quello di scegliere i terreni, i luoghi, le persone, le categorie: dobbiamo, piuttosto, avere il tratto largo e abbondante del braccio, e soprattutto del cuore! I criteri della missionarietà, come di ogni pastorale, sono infatti quelli delle persone.
Il gesto instancabile del seminatore, però, non è solo generoso: è anche sereno e pieno di fiducia. Sappiamo, infatti, che il frutto del seme non dipende da noi, ma dal seme stesso. Sappiamo che la semente è buona e feconda in se stessa, e questo ci rassicura. Sappiamo, cari Amici, che questo seme è la parola di Cristo: noi siamo i piccoli operai del Vangelo, gli umili braccianti della vigna, mentre Lui è il Seme e il Seminatore, colui grazie al quale il raccolto matura, quindi non secondo i nostri tempi, ma con quelli del Signore. Questa fiducia ci consente, dopo aver faticato tutto il giorno, di poter anche andare a riposare sereni: domattina usciremo di nuovo da casa, dalle nostre sicurezze, e di nuovo andremo incontro alla novità dei terreni, ad imprevisti lieti o dolorosi. Ma il nostro cuore starà nella pace, sapendo che il Signore è fedele.
Una Chiesa eucaristica
Annunciare il Vangelo è vivere Cristo, e partecipare alla missione è vivere la Chiesa. E quando si vive l’incontro con Gesù – così come si vive un rapporto d’amore – l’orizzonte cambia, il cielo è diverso, la vita prende spessore. In Lui tutto è diventato luce, anche le croci. E se la missione è attrazione, ogni cristiano dovrebbe vivere in modo tale da fare “invidia” – santa invidia! – ad altri che, sorpresi, si chiederanno il segreto di questo singolare modo di stare nel mondo, di vivere le cose di tutti, gioie e affanni. Il nostro segreto non è nostro, ma di tutti, poiché Dio abita là dove lo si fa entrare: come Gesù ad Emmaus, che sembra precipitarsi nella locanda con i due discepoli che l’hanno invitato a fermarsi!
La Chiesa nasce dal Crocifisso, dal suo sangue versato e dal suo corpo dato. Nasce dal suo abbandono tra le braccia del Padre. E l’Eucaristia ci porta, a nostra volta, tra le braccia di Dio, rinnovando la gioia di essere figli di Colui che “ha tanto amato gli uomini da mandare il suo Figlio per noi”: essere figli e fratelli è la Chiesa. Celebrare i divini misteri è dunque per la Chiesa tornare alla fonte della grazia, al grembo della vita secondo lo Spirito. Lontani da questa fonte, la buona volontà si prosciuga, la perseveranza si allenta, l’entusiasmo degli inizi perde smalto, le delusioni e la stanchezza hanno il sopravvento: anche l’amore ha le sue fatiche! Cari Amici, se vivere l’Eucaristia è per noi un tornare alla sorgente della bellezza cristiana, allora l’Eucaristia è l’acqua sorgiva che suscita l’annuncio del Vangelo, perché il mondo sia redento e si sveli a tutti il segreto della gioia. Negarci alla missione e alla carità significherebbe negarci all’Eucaristia; sarebbe un tradire l’Eucaristia stessa.
Affidarci al Sacramento ci fa creature nuove, capaci non solo di fare cose grandi, ma di vivere in modo grande le piccole cose di ogni giorno; di fare del poco che siamo un dono per gli altri. La carità non ha muscoli da esibire, ma piccole anfore da portare, anfore comunque capaci di dissetare la sete dei poveri nel corpo e nello spirito. Va in questa direzione la colletta che domenica prossima viene fatta in tutte le nostre Diocesi: un segno di solidale condivisione che si aggiunge alla preghiera per quanti sono stati duramente colpiti dal terremoto nel centro Italia.
La Santa Vergine, la Grande Madre di Dio Regina di Genova, vegli su di noi con la sua maternità: consegniamo a Lei questi giorni. Nessuno meglio di lei può parlarci di Gesù e a Lui condurci per rinnovare lo slancio della fede, che si fa missione e misericordia.