E’ in corso la delicata fase di gestione dell’emergenza dopo il sisma che ha colpito il Centro Italia: le tendopoli, il freddo, la programmazione degli interventi di consolidamento, o di abbattimento, la ricostruzione degli edifici e la vita di tutti i giorni che stenta a ripartire tra le innumerevoli difficoltà, nonostante la tenacia e la volontà dei sopravvissuti.
Dopo un terremoto, che fa andare giù costruzioni e miete vittime, nulla è destinato ad essere più come prima. La vita per chi sopravvive è destinata inevitabilmente a cambiare. I centri, una volta abitati si svuotano immediatamente delle funzioni urbanistiche.
E’ accaduto ad Accumoli e Amatrice, in tutti i Comuni colpiti di recente, come avvenne a L’Aquila (2009) e prima ancora in Emilia-Romagna (2012), in Molise a San Giuliano di Puglia (2002), in Irpinia (1980), nel Friuli (1976), in Sicilia… La storia dovrebbe insegnare che esiste un solo modo per impedire che i terremoti siano causa di morte e di distruzione: la prevenzione.
In un territorio peninsulare in gran parte potenzialmente soggetto a movimenti tellurici, frane e inondazioni, non è possibile ogni volta dover solo contare i danni. E’ vero che in Italia il patrimonio storico e artistico oltre a costituire una ricchezza è anche un ostacolo al consolidamento strutturale, tra vincoli, tecniche di restauro e difficoltà burocratiche, ma è anche vero che, in molti casi, i terremoti colpiscono dove l’opera dell’uomo è debole. E’ accaduto di recente e nel passato: a L’Aquila nell’anno 2002 andò giù con il sisma la “casa dello studente”, realizzata in calcestruzzo armato. Nelle zone colpite di recente sono cadute case, palazzine, edifici vetusti e di recente costruzione.
Un edificio realizzato in calcestruzzo armato non si dovrebbe “piegare” con un sisma, anche se di forte intensità, e scomparire diventando un cumulo di macerie, ciò vale anche per un’opera realizzata in altro materiale, sempre che la stessa sia costruita “a regola d’arte” e nel rispetto delle norme esistenti.
Le Facoltà universitarie italiane formano ingegneri edili che tutto il mondo ci invidia, per competenza e preparazione, ciononostante non riusciamo a fronteggiare situazioni, come terremoti, frane, alluvioni, che si verificano sul territorio nazionale. Ci si domanda perché questo accada. La risposta è sempre la stessa: manca un’adeguata prevenzione.
Eppure alcuni strumenti sono stati attivati dai precedenti governi: circa 3 anni fa sono stati stanziati fondi statali alle Regioni, complessivamente oltre 965milioni di euro, grazie al Piano Nazionale di prevenzione sismica del 2010 (legge 77/2009). Con quei soldi, tuttavia, ad oggi risulta completato solo un terzo degli interventi per la messa in sicurezza sismica degli edifici pubblici, oltre la metà dei cantieri non sono stati aperti. Per l’edilizia privata, sono stati realizzati poco più del 20% di ristrutturazioni, mentre per il 60% delle abitazioni private, bisognose di lavori di consolidamento, i proprietari non hanno neanche presentato la domanda.
L’attuale Consiglio dei Ministri, dopo aver decretato lo Stato di emergenza per i territori colpiti dal sisma (compresi nelle Regioni Lazio, Marche, Abruzzo e Umbria) ha deliberato lo stanziamento di 50 milioni di euro destinati a interventi urgenti che verranno coordinati dalla Protezione Civile. Per il futuro resta la prevenzione l’unica arma in grado di fronteggiare eventuali pericoli: è solo prestando maggiore attenzione al territorio, edificando in maniera corretta, riqualificando le aree urbane e consolidando gli edifici preesistenti che potremo dire di aver messo in sicurezza la vita e la storia nelle numerose zone a rischio, e già mappate, presenti in tutto il Paese. Victor Hugo diceva che l’architettura e la storia sono il grande libro dell’Umanità. Lo stesso libro che Papa Francesco, con l’enciclica “Laudato Sì” ci invita a custodire con amore e rispetto, prendendoci cura del Creato, mettendo l’Uomo al centro della creazione.
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