di Vania De Luca
VATICANO – C’era attesa per l’ udienza al consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, poi estesa ad altri invitati. Alla fine l’udienza è arrivata e la sala Clementina, in Vaticano, era gremita, con i giornalisti più numerosi delle 400 sedie a disposizione.
Nel suo indirizzo di saluto al Papa, il prefetto per la comunicazione, Edoardo Viganò, ha auspicato un giornalismo in grado di raccontare le vicende di tante donne e tanti uomini che giorno dopo giorno, con dignità e fierezza, affrontano le questioni della malattia, della mancanza del lavoro, dell’impossibilità a costruire un futuro.
Poi il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino ha ricordato la presenza in sala di alcuni cronisti che vivono sotto scorta e dei familiari di quelli che hanno pagato con la vita il loro impegno civile, come accadde a Giancarlo Siani, assassinato dalla camorra il 23 settembre del 1985. Nelle parole del Papa un vademecum degno di ogni buon giornalista, laico o cattolico che sia.
Perché se il giornalismo è una di quelle professioni che hanno tanta influenza sulla società, è proprio la penna del cronista, come ha ricordato il Papa, a scrivere la “prima bozza della storia”. Lo sa chi lavora con le immagini o con le parole, scritte o dette a voce, con le notizie da scegliere e alle quali dare ogni giorno una gerarchia di importanza. A volte ci sono titoli o frasi inutilmente gridate, altre volte ci sono parole colpevolmente taciute. A volte è difficile fare le scelte giuste, e non sempre è solo una questione di “mestiere”.
Quando il Papa dice di voler condividere “una riflessione su alcuni aspetti della professione giornalistica”, per capire “come questa può servire per il miglioramento della società in cui viviamo” invita tutti e ciascuno a farsi delle domande sul proprio modo di lavorare, sul senso che ha la propria professione in un tempo lacerato da tanti conflitti ma anche tanto bisognoso di risanamento e ricostruzione.
Ci si sente chiamati in causa quando ci si chiede di “riflettere su ciò che stiamo facendo e su come lo stiamo facendo”, soprattutto in un tempo in cui la velocità richiesta ai giornalisti diventa a volte nemica della qualità, della contestualizzazione, dell’approfondimento, della verifica e anche delle scelta delle parole e dei toni più giusti, a seconda della materia di cui si tratti.
Sono tre gli elementi fondamentali richiamati dal Papa: “amare la verità, vivere con professionalità, e rispettare la dignità umana, che è molto più difficile di quanto si possa pensare a prima vista”. La considerazione successiva è centrale: “La questione qui non è essere o non essere un credente. La questione qui è essere o non essere onesto con sé stesso e con gli altri. La relazione è il cuore di ogni comunicazione”.
Se non c’è relazione che possa reggersi sulla disonestà, a maggior ragione i giornalisti dovrebbero porsi delle domande sulla qualità della loro relazione con la realtà, con i fatti, con la storia, con le notizie…. Con quali occhi si guarda? Si hanno orecchie abbastanza allenate per ascoltare? Dall’altra parte c’è il pubblico, fatto di lettori o spettatori con i quali una relazione di fiducia è fondamentale. Bisogna essere credibili per essere creduti.
E se “non è sempre facile arrivare alla verità”, tanto più oggi che la fabbrica delle notizie non conosce sosta e l’informazione è ininterrotta per 24 su 24, tendere ad avvicinarsi alla verità con onestà è un dovere imprescindibile per giornalisti chiamati sempre di più a “discernere tra le sfumature di grigio degli avvenimenti che si è chiamati a raccontare”.
Quando il Papa chiede di “non sottomettere la propria professione alle logiche degli interessi di parte, siano essi economici o politici” chiede una cosa che dovrebbe essere scontata, ma in tanti casi non lo è, e questo è purtroppo un vulnus anche per la nostra democrazia. Costruire la cittadinanza e servire la democrazia nel rispetto della dignità umana fa parte delle urgenze, oggi, per la nostra professione.
Non è un caso che appena un giorno prima del Papa sia stato il presidente della Repubblica Mattarella, intervenuto alla scuola di giornalismo di Perugia, a ricordare che il giornalismo costituisce “l’ossatura della consapevolezza di qualunque società”.
I giornalisti hanno tra le mani gli strumenti potenti della voce e della parola, che possono ferire o uccidere, o al contrario sanare e consolare. A volte lo sanno, e usano questi strumenti, nel bene o nel male, in maniera consapevole. A volte sembrano ignorarlo, e su questo bisognerebbe forse porsi delle domande.
La vita di una persona ingiustamente diffamata “può essere distrutta per sempre”, e se la critica è non solo “legittima”, ma anche “necessaria, così come la denuncia del male”, il rispetto dell’altro, della sua vita, dei suoi affetti, non può essere un optional e neanche può essere regolamentato da un codice deontologico. Ci sono norme che si vorrebbero non scritte perché incise nel dna di un sentire comune.
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