DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di domenica 23 settembre.
E’ una parabola che conosciamo molto bene quella che la liturgia di questa domenica ci propone.
C’è, da un lato, «un uomo ricco che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti»; dall’altro, troviamo «un povero di nome Lazzaro […] coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe».
Cosa separa i due uomini? Certamente la diversa condizione sociale…ma non è questa diversità la vera “colpa” dell’uno nei confronti dell’altro. Il ricco potrebbe aver guadagnato con il lavoro i suoi beni e giustamente ora se li gode.
Il povero, dice il vangelo, «stava alla sua porta», sedeva alla porta della casa del ricco. Questo piccolo spazio, questa piccola soglia, questo piccolo passaggio è ciò che separa volutamente le due vite. Questo spartiacque, se non varcato, non permette alla nostra ricchezza di traboccare “fuori”, non permette alla nostra ricchezza di generare giustizia per gli oppressi, pane per gli affamati, libertà per i prigionieri, nuovi occhi per chi è cieco, appoggio per chi è caduto, protezione per il forestiero, sostegno per l’orfano e la vedova: tutto ciò che, come cantiamo nel Salmo, il Signore è venuto invece a donare!
«Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria», dice il profeta Amos nella prima lettura: il pericolo è nel sentirsi “spensierati”, cioè sufficienti a se stessi in una apparente ma ottusa serenità, nel sentirsi legittimati su tutto ciò che facciamo, padroni di ogni cosa e degli altri, sazi e, quindi, estranei a ciò che accade attorno a noi.
Una porta…un piccolo passaggio che può trasformarsi in un abisso. La seconda parte del racconto ci presenta la morte dei due protagonisti. La situazione appare rovesciata: Lazzaro si trova in alto, accanto ad Abramo, il ricco «sprofondato negli inferi, fra i tormenti».
«Figlio, ricordati che nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo mondo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi, è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». Quella porta non varcata che, in vita, ha significato non accoglienza, non condivisione, mancanza di compassione, estraneità, impassibilità, diventa abisso insormontabile: non si tratta solo del giudizio irrevocabile di Dio che, come dice San Paolo nella sua prima lettera a Timoteo, ci chiede di tendere «alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza…», ma delle conseguenze di un comportamento terreno che diventa di per sé già giudizio, della scelta di non accettare la “sfida” bella e impegnativa dell’oggi come occasione in cui possiamo vivere il tutto dell’amore, il tutto della fedeltà al Vangelo, il tutto della Vita!”