Dio non si lascia “comprendere a tavolino, né sono gli studiosi o i sapienti che riescono meglio di altri a riconoscerne i tratti. Al contrario, egli può essere scorto da chi si fa piccolo e lo cerca, non solo attraverso i libri, ma ancor più e prima di tutto nella propria vita. I ‘luoghi’ e i ‘modi’ per incontrarlo “rimandano anzitutto a un amare e agire, a uno sporcarsi le mani e uscire da se stessi, a sapersi muovere verso gli altri, verso le periferie e verso gli ultimi”. Lo scrive monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, nell’editoriale della rivista “Segno nel mondo” (ottobre 2016), mensile dell’Azione cattolica italiana, in uscita tra qualche giorno. La teologia cristiana, afferma il presule, non deve concepirsi mai come “un sapere astratto”, ma deve mantenersi “a stretto contatto con la storia e le vicende umane”, mentre la Chiesa “non cessa mai di interrogarsi” alla luce “della preghiera e nell’ascolto della Parola”. Questa consapevolezza, secondo Galantino, “ci aiuta a non separare mai la teologia e la pastorale, ma a tenerle strettamente unite, in modo che si illuminino a vicenda”. Una mutua relazione che, “insieme all’ascolto della storia e dell’esperienza, è orientata allora a non separare la fede dalla vita e far sì che il messaggio evangelico sia realmente percepito come buona notizia”. “È a questo proposito – ricorda il segretario generale della Cei – che papa Francesco, nella sua prima Esortazione apostolica, ha affermato il principio del primato della realtà sull’idea (Evangelii gaudium, nn.231-233). Ciò significa che i concetti, per non trasformarsi in costruzioni solo teoriche, non devono mai separarsi dagli avvenimenti, ma basarsi su di essi”. Una concretezza da rendere anche attravreso l’impiego di “immagini tratte dalla vita quotidiana”, secondo le indicazioni del Papa. Da mons. Galantino, infine, l’invito a “far tesoro del Convegno ecclesiale di Firenze e dar vita a un’antropologia che ponga al centro l’esperienza e la vita dell’uomo”.