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Emergenza profughi a Como: l’allarme della Caritas, “minori soli a rischio sfruttamento”

Di Patrizia Caiffa

A Como da tre mesi la città affronta l’emergenza profughi respinti alla frontiera svizzera. Qui la situazione dei minori migranti è sempre più difficile da gestire. Ci sono bambini di 11/12 anni, spesso non scolarizzati, che dopo aver affrontato la durezza del deserto e il pericolo di morire in mare, qui potrebbero essere vittime di sfruttatori e cadere nelle reti della microcriminalità. Ancora troppo piccoli e senza mezzi per essere in grado di costruire un futuro serio e sereno da soli. Bellissime ragazzine nigeriane, eritree e somale di 14/15 anni sono già state avvicinate in stazione da equivoci personaggi italiani, intenzionati ad approfittarne. Nemmeno i ragazzini sono al sicuro da questi rischi. Dall’inizio dell’emergenza, nel mese di luglio, la Caritas e le altre organizzazioni umanitarie hanno visto passare circa 700 bambini, ragazzi e ragazze costretti a fuggire da soli, quelli che in gergo tecnico vengono definiti “minori stranieri non accompagnati”, in vertiginoso e drammatico aumento sulle nostre coste. Secondo le stime di Save the Children dal 1 gennaio al 18 settembre 2016 sono arrivati in Italia via mare oltre 20.235 minori, di cui circa 18.225 non accompagnati. Arrivano da Eritrea, Egitto, Gambia, Nigeria, Guinea, Somalia e altri Paesi dell’Africa subsahariana e occidentale. La Caritas diocesana di Como è impegnata in prima linea nella gestione dell’emergenza, a fianco della Croce rossa che ha allestito un campo con 300 posti dove alloggiare i cosiddetti “transitanti”. Vogliono tutti andare in Germania, Olanda, Belgio, Danimarca. Gli operatori sono molto preoccupati per il destino dei bambini e ragazzi più giovani. Attualmente Caritas Como ne ospita una quarantina, in un hub di prima accoglienza, all’istituto Don Guanella e nella parrocchia di Rebbio.

Giovani e fragili vite da tutelare. Come gli altri profughi – da maggio 2016 ad oggi, secondo la prefettura di Como, ci sono stati 20.000 tentativi di passaggio – anche i minori cercano di attraversare la frontiera sui treni o addirittura camminando a piedi nelle gallerie ferroviarie o autostradali. Ogni volta (anche tre o quattro volte) danno nomi diversi, ma sono identificati tramite le impronte digitali. La frontiera è sorvegliatissima, anche con droni notturni. I passeurs non si scomodano perché i migranti non hanno abbastanza soldi per pagarli. Al massimo indicano un sentiero per 50 euro. Solo ai siriani, più benestanti, chiedono 800 euro per aiutarli. “La polizia svizzera li ferma, noi andiamo a recuperarli in dogana –  racconta Roberto Bernasconi, direttore di Caritas Como -. La polizia italiana ce li affida perché la prefettura non sa dove ospitarli”. Bernasconi è molto preoccupato per la sorte dei minori, sente la responsabilità di queste giovani e fragili vite che hanno già affrontato tante difficoltà. Molti di loro sono fuggiti dai centri di accoglienza straordinaria (Cas) dove erano ospitati, subito dopo lo sbarco in Italia. “Bisogna seguirli con molta attenzione – spiega -, perché rischiano di finire nella malavita o nel giro della prostituzione, femminile e maschile. Arrivano automobili italiane che si fermano e cercano di avvicinarli. Ho già denunciato questi episodi in questura. Li seguiamo con psicologi, avvocati, mediatori culturali. Se riusciamo ad aiutarli a fare le scelte giuste ci sarà un futuro migliore per loro e per tutti noi”. Purtroppo, prosegue, “fanno fatica a raccontare le loro storie. Vogliono solo andare nel Nord Europa ma non hanno un bagaglio culturale e linguistico significativo. Vorrebbero fare la re-location, che però non funziona. Perciò spingiamo perché proseguano il percorso scolastico in Italia. Se poi qualcuno ha familiari in altri Paesi europei cerchiamo di fare i ricongiungimenti familiari, ma sono molto pochi”.

Lo slancio di generosità della comunità comasca. Intanto alla stazione di Como c’è sempre un via vai di decine o centinaia di profughi, che gli operatori Caritas ogni giorno cercano di convincere a spostarsi nel campo della Croce Rossa, che ha 300 posti letto in 50 container, una mensa per 600 persone, docce, servizi igienici, lavanderia e personale specializzato. Al momento tra stazione e campo i profughi sono 400/500 ma la cifra è in continua evoluzione. Como è una cittadina di 80.000 abitanti e tutto sommato ha retto bene al flusso non previsto, dirottato qui perché le frontiere francesi e austriache sono inaccessibili. E’ come una ruota della fortuna, ogni tanto una ventina di migranti al giorno riescono a passare di là. Ma solo lo 0,5% riesce a proseguire il viaggio. Gli altri tornano a Roma o negli altri centri da dove sono scappati. Da parte della popolazione comasca c’è stato uno slancio di generosità enorme. “Ora abbiamo almeno 600 volontari in più e 50.000 euro di offerte, oltre a vestiti e generi alimentari raccolti – dice Bernasconi -. Sono stati gesti di cuore e di pancia, che ora dobbiamo orientare meglio. Tutte le parrocchie hanno cominciato a collabore e interagire, alcune hanno messo a disposizione l’oratorio. Le religiose hanno accolto le donne. Una scuola cattolica ha accolto i minori migranti nonostante alcuni genitori, per protesta, abbiano deciso di ritirare i propri figli da scuola”. Dall’emergenza è nato quindi qualcosa di buono. “Se non ci fosse sarebbe meglio – ridacchia Bernasconi, che trascorre le sue giornate al telefono a gestire il tutto e a tenere i contatti con prefettura e comune -, ma alla fine si sta rivelando una esperienza molto positiva”

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