«La nonviolenza è la più grande forza a disposizione del genere umano. È più potente della più potente arma di distruzione che il genere umano possa concepire».
Le parole di Gandhi risuonano forti oggi che il mondo celebra la Giornata internazionale della nonviolenza, promossa dall’assemblea dell’Onu proprio in coincidenza con l’anniversario della nascita del Mahatma.
Un evento che non perde di attualità, dato che gli orrori del mondo non conoscono tregua: le guerre, i tagliatori di teste, le persecuzioni di cristiani e di tante minoranze, i migranti mandati a morire nei deserti o in mare da disumani trafficanti, i soprusi su popoli interi ed i massacri silenziosi che sfuggono ai nostri occhi perché insanguinano terre sperdute, insieme a tanto altro sono violenza che quotidianamente si ripete.
Ma nonostante tutto, ed anzi forse proprio per questo, guai a cedere allo sconforto ed alla rassegnazione: «Se sei pessimista perdi la tua attività, la gioia di vivere. Se sei ottimista hai interesse nella vita, proverai a renderla migliore».
Lo diceva Shimon Peres,il falco divenuto colomba che con gli accordi di Oslo (che tra l’altro gli valsero il Nobel per la pace) segnò l’inizio di un nuovo cammino per israeliani e palestinesi. Sognatore, idealista, pragmatico, bandiera internazionale di uno stato di Israele che rifiuta il ruolo di fortezza assediata dal mondo arabo, Peres ha testimoniato che la forza della volontà può cambiare le cose.
Scomparso qualche giorno fa, nella sua parentesi terrena ha dimostrato con la concretezza dei fatti la validità della tesi del rifiuto della violenza nella risoluzione dei conflitti nel solco dell’insegnamento gandhiano: il suo impiego tende a portare alla ribalta uomini violenti e autoritari che continuano a esercitarla una volta ottenuta la vittoria, senza programmare pedagogicamente la crescita di bambini nella bontà, nell’altruismo, nella tolleranza, nella libertà.
Una Giornata che scuota le coscienze, spronandole ad opporsi a quanto di malvagio accade sulla Terra non può che essere, allora,una cosa viva e non un retorico omaggio a un’utopia bellissima.
Nonviolenza è ben altro che una imbelle e supina passività ed una tacita sottomissione. La pace ha conseguenze sociali positive ed apre la strada ad un effettivo, vero progresso.
Pur con le innegabili difficoltà che ciò comporta, occorre agire – negli scenari internazionali come nella vita di ogni dì, dal rapporto tra gli Stati a quello tra inquilini di un condominio – negli spazi del possibile, negoziando percorsi di pace, anche là dove essi appaiono tortuosi e persino impraticabili. In questo modo, la nonviolenza potrà assumere un significato più ampio e nuovo: non solo aspirazione, afflato, rifiuto morale della violenza, delle barriere, degli impulsi distruttivi, ma anche metodo politico realistico, aperto alla speranza.
Viene da ricordare, insomma, l’invito col quale papa Francesco, anticipando i temi del messaggio per la cinquantesima Giornata mondiale della pace, ha sollecitato l’umanità: «Violenze e ingiustizie non possono lasciarci indifferenti e immobili: c’è bisogno dell’impegno di tutti».