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Mediazione familiare, un nuovo patto

Di Giovanna Pasqualin Traversa

Lasciarsi senza trasformare la separazione in una guerra. E’ possibile? Nel 2014, secondo l’Istat, le separazioni in Italia sono state 89.303 e i divorzi 52.335, un trauma anche per i figli, quando ci sono, che senza colpa diventano spesso oggetto di contesa, rivendicazioni e ricatti da parte dei genitori. E magari assistono, bambini spaventati e impotenti, a violente liti fra tristezza, rabbia, paura di perdere l’affetto di papà o mamma: un terremoto emotivo che metterebbe a dura prova l’equilibrio di chiunque. Eppure,

se il dolore per la separazione dei genitori non si può evitare, quello legato alla loro conflittualità sì, perché anche se la coppia scoppia si rimane genitori per sempre.

Mediazione familiare, questa sconosciuta. Affrontare in modo costruttivo la separazione imparando ad ascoltare le ragioni dell’altro e cercando insieme le soluzioni dei conflitti per arrivare ad un accordo condiviso è l’obiettivo della mediazione familiare. Strumento ancora poco noto al grande pubblico, prevede in un contesto di lavoro strutturato la presenza di una figura terza e imparziale con il compito di

favorire la creazione di un clima di fiducia reciproca e di cooperazione all’interno della coppia che si sta sciogliendo.

“In questo modo – ci spiega Costanza Marzotto, responsabile per la formazione del Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia dell’Università cattolica di Milano e socia fondatrice della Società italiana di mediatori familiari – i genitori potranno elaborare in prima persona una riprogrammazione della vita familiare soddisfacente per sé e per i figli, esercitando la comune responsabilità genitoriale”. Si tratta di

un percorso volontario, extragiudiziale, mirato al riconoscimento reciproco e alla formulazione di un “nuovo patto”

in materia di affidamento dei figli minori, condivisione di un progetto educativo (scuola, attività ricreative, educazione religiosa), assegno di mantenimento, aspetti patrimoniali, presentazione e frequentazione di eventuali nuovi partner e delle famiglie d’origine.

Da non confondersi con la riconciliazione. La mediazione, precisa Marzotto, “non ha la finalità di riappacificare le coppie che hanno deciso di porre fine alla convivenza è esclusivamente rivolta a favorire la presa di accordi,

ma il processo favorisce anche l’elaborazione di sentimenti dolorosi, della rabbia che a volte permane in uno dei partner, favorisce il riconoscimento dell’altro come genitore valido, e tutela la parte debole”.

Uno studio canadese dimostra infatti che nelle coppie che si sono impegnate nel percorso, gli ex partner sono molto più puntuali nel pagamento dell’assegno di mantenimento rispetto a quelli che si sono separati in modo conflittuale.

Professione non ancora regolamentata, sottolinea Federica Anzini, presidente Associazione italiana mediatori familiari (Aimef) e mediatrice da 13 anni, che “fa ingresso nel nostro ordinamento con la legge 285/1997 contenente ‘Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza’”. All’istituto della mediazione fanno inoltre riferimento diversi provvedimenti successivi, tra i quali la legge 54 del 2006 che ha introdotto il cosiddetto “affido condiviso”. Anche la legge 162/2014 che introduce la cosiddetta “negoziazione assistita”, pur facendo espresso riferimento alla mediazione familiare, non disciplina la materia, né illustra quali professionisti la possano svolgere. Il paradosso, osserva Anzini, è che gli enti pubblici, le Regioni, finanziano servizi di mediazione familiare – il piano sociale regionale approvato a fine agosto in Abruzzo prevede il finanziamento alla mediazione tra i servizi alla persona – ma il legislatore ancora non la regolamenta”. In assenza di ordine professionale e di albo, i mediatori devono essere tuttavia accreditati presso il ministero dello Sviluppo economico nel quadro della normativa in materia di professioni non organizzate (legge4/2013)

Un passo avanti. Lo scorso agosto, avverte tuttavia Marzotto, “è stata emanata la norma Uni che definisce questo profilo: un laureato in giurisprudenza, o psicologia, o pedagogia, o servizi sociali, e che ha seguito un percorso specifico di 300 ore e uno stage pratico sotto la guida di un supervisore”.

Dall’esperta l’auspicio che la normativa, “condivisa dalle principali associazioni, si trasformi in legge nei prossimi mesi”.

Al riguardo,

il prossimo 20 ottobre, settima Giornata nazionale della mediazione familiare, Aimef presenterà una proposta di legge in materia

in occasione di una conferenza stampa al Senato sulla riforma del diritto civile. Tra i punti centrali, la definizione dei requisiti necessari alla figura del mediatore e l’obbligatorietà dell’informazione ai coniugi che intendono separarsi (da parte dell’avvocato o del presidente del tribunale dopo la prima udienza in tribunale) di questa opportunità extragiudiziale per arrivare ad un accordo condiviso.

Sulle percentuali di successo della mediazione non esistono dati statistici ufficiali: abbiano interpellato le due associazioni ma non sono state in grado di fornirceli. “Dai riscontri interni tra i nostri associati – conclude tuttavia Anzini –

su 100 separazioni o divorzi che sfruttano questa opportunità, almeno 80 si concludono con accordi”.

Numeri confermati anche da Marzotto.

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