Si è conclusa il 10 ottobre la prima edizione della Settimana nazionale della dislessia. A promuoverla l’Associazione italiana dislessia (Aid), che organizza a Roma e in altre 90 città italiane oltre 600 tra eventi, laboratori e spettacoli. L’iniziativa ha l’obiettivo di sensibilizzare e accrescere la consapevolezza riguardo i disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) ed è stata indetta in concomitanza con l’European Dyslexia Awareness Week e del sesto anniversario della legge 170 dell’8 ottobre 2010, che ha sancito in Italia il diritto alle pari opportunità nell’istruzione per i ragazzi con dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. In particolare, la legge 170 definisce la dislessia come un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà nell’imparare a leggere, specialmente nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura. In Italia, si legge sul sito dell’Aid, si stima che ci siano almeno 1.900mila persone con dislessia evolutiva. Nelle nostre parrocchie come si affronta la sfida rappresentata dai ragazzi che soffrono di disturbi specifici dell’apprendimento? Ne abbiamo parlato con suorVeronica Amata Donatello, responsabile del Settore per la catechesi delle persone disabili dell’Ufficio catechistico nazionale della Cei.
I ragazzi dislessici hanno molte difficoltà in parrocchia?
La dislessia è un problema di letto-scrittura, che ha dei metodi compensativi.L’obiettivo è includere l’altro nell’ambito scolastico come in quello pastorale, utilizzando gli strumenti compensativi.La persona dislessica ha un modo differente di apprendere, ma non ha un problema nell’apprendimento. Sia in ambito scolastico sia in quello pastorale c’è il libro al centro. Si tratta, quindi, di rendere leggibile il testo.
A livello pastorale questa sfida dell’inclusione dei ragazzi dislessici come si vince?
Il primo passo è ‘in-formarsi’.
Durante gli incontri faccio sempre leggere un testo come lo vede un ragazzo dislessico. Il pubblico va in tilt, ma non perché ha un problema di apprendimento, piuttosto perché ha bisogno di più tempo. Ed è proprio di quello che ha bisogno un ragazzo dislessico.
Occorre mettersi nei panni del ragazzo che ha il disturbo.
Come possiamo rendere leggibili i testi dell’iniziazione cristiana?
Con alcune accortezze. All’interno di una parrocchia, o di un qualsiasi altro contesto pastorale, prediligere l’audio sullo scritto e immagini accompagnate a parole. Dove c’è un formato scritto, se possibile, darlo prima. Con i nuovi ausili digitali ci sono delle modalità per rendere fruibile il testo. Ci sono anche dei siti dove si scaricano dei caratteri specifici per la dislessia, anche se non sono stati approvati ancora. Utile è anche creare dei testi interattivi, mappe concettuali per immagini. Inoltre, quando si consegna uno scritto, evitare un testo giustificato, ma differenziare i paragrafi con il rientro. Moltissimo aiuta anche l’uso del pc e del tablet.A volta basta veramente poco per evitare che i ragazzi vivano le ore di iniziazione cristiana in modo faticoso: per questo serve conoscere e utilizzare gli strumenti compensativi, che si usano non solo per il ragazzo dislessico, ma anche per tutti quelli che hanno delle disabilità riguardo alla sfera del linguaggio.
Quanto i nostri catechisti sono preparati per aiutare i ragazzi dislessici?
C’è tanta formazione. Quest’anno in occasione del venticinquesimo del nostro Ufficio abbiamo fatto una mappatura in Italia di tante esperienze formative in diverse aree di disabilità. La sfida, anche in questi nuovi ambiti, è proprio la formazione.Non si tratta di diventare specialisti, ma di saper gestire le esigenze differenti che si presentano oggi: dal bambino straniero al ragazzo dislessico, al ragazzo con disabilità intellettiva e all’anziano.È una conversione che riguarda tutti: dal sacerdote al catechista. La leggibilità del testo è un criterio che deve esserci per tutti.
Rendere fruibili i nostri catechismi è possibile.
Lei ha parlato di conversione di mentalità…
Come dice il Papa, si tratta di fare la “pastorale dell’orecchio”: dobbiamo metterci in ascolto dell’altro. Questo richiede una conversione di mentalità creando una nuova ermeneutica dell’evangelizzazione perché è il testo che parla, comunica alla persona.Se, ad esempio, vogliamo far leggere in chiesa il ragazzino dislessico, basta dargli il testo in caratteri e formati adeguati in anticipo. L’obiettivo è includere rispettando i tempi di tutti. Anche tanti insegnanti di sostegno e i genitori che frequentano le parrocchie mettono a disposizione le loro competenze nelle nostre comunità.
Una persona con una diagnosi specifica è una pietra d’inciampo, ma anche un’occasione preziosa per ripensare all’annuncio.
Perciò, parlo dell’importanza della formazione: anche Gesù formava i suoi. Tutto questo rientra nel cammino pedagogico del Signore.
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