Il 6 maggio scorso Papa Francesco ha pronunciato in Vaticano un importante discorso dedicato all’Europa, ricevendo il prestigioso Premio Carlo Magno che riconosce l’azione di una personalità a favore dell’unità europea. Si trattava per il Santo Padre di chiamare l’Europa a un sussulto, benché Bergoglio in passato ha dichiarato di vederla in declino, “nonna”, stanca, ripiegata su se stessa. Francesco apostrofa dunque l’Europa per spronarla: “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”.
Il Papa mostra il fossato che si è scavato tra le intuizioni dei padri dell’Europa – in particolare Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi, che cita a lungo e che chiama “araldi della pace e profeti dell’avvenire” – e la realtà di oggi.
Il loro messaggio e le loro realizzazioni concrete sono per il pontefice più che mai di attualità
e permettono di “aggiornare l’idea di Europa”, cioè “un’Europa in grado di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare”.
Si tratta di rispondere alla sfida di rinnovare le tradizioni umanistiche dell’Europa. Allora Papa Francesco invita dapprima a riflettere sulle radici dell’Europa che definisce come “una famiglia di popoli”, come disse già al Parlamento europeo a Strasburgo nel 2014. Non entra nel dibattito sulle “radici cristiane”, tema caro a Giovanni Paolo II. Non utilizza tale espressione precisamente per andare al di là, per insistere al contrario sulla diversità culturale dell’Europa, e afferma: “le radici dei nostri popoli, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparentemente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale”.
Ma la Chiesa ha una missione, quella di contribuire “alla rinascita di un’Europa affaticata”, quella di “ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa”.
L’avvenire dell’Europa si colloca quindi nel dialogo, nella capacità di “diventare modello di nuove sintesi e di dialogo”, nell’apertura, nell’incontro di civiltà e di popoli.
Tale prospettiva non può costruirsi senza il contributo e la mobilitazione dei giovani che sono nel momento attuale segnati da disoccupazione, precarietà, sottoccupazione. Il Papa torna di nuovo sulla sua critica del liberalismo e della finanza internazionale già espressa nell’enciclica Laudato sí e nel suo discorso ai Movimenti popolari a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, il 9 luglio 2015. Richiede l’attuazione di un sistema economico equilibrato, del tipo dell’“economia sociale di mercato”, che fu perseguita negli anni ‘50 del secolo scorso sotto l’impulso dei democratici cristiani tedeschi, in particolare di Ludwig Erhard. Bergoglio invita, fedele alla dottrina sociale della Chiesa, a “passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in base alla speculazione e al prestito a interesse ad un’economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione”.
Francesco conclude il suo discorso davanti ai responsabili del Premio Carlo Magno e a numerose personalità della politica, della diplomazia e della cultura europee con l’espressione, sul modello di Martin Luther King (pur non citato) di un sogno: “Sogno un nuovo umanesimo europeo”, il sogno di un’Europa che rispetta la vita, soccorre il povero, accoglie chi “non ha più niente e chiede riparo”, che valorizza gli anziani, dove i giovani e le famiglie hanno il loro posto, “che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti”.
Con questo discorso, Papa Francesco si colloca nella continuità dei suoi predecessori che, da Pio XII in poi, hanno espresso il loro sostegno alla costruzione di un’Europa unita. Nel contesto del dopoguerra e della guerra fredda l’unità era vista come una necessità per impedire nuove avventure belliciste e totalitarie, come una condizione per costruire la democrazia e la pace.
Pace e solidarietà erano gli obiettivi maggiori dell’Unione. Per la chiesa lo sono ancora oggi.
Francesco riprende tutta questa eredità. Però, attraverso la sua definizione dell’identità dell’Europa fondata sulle sue culture diverse – in cui la chiesa deve giocare pienamente il suo ruolo di evangelizzatrice in uno spirito di servizio – e dell’Europa come famiglia di popoli (senza utilizzare la parola Stato), il pontefice apre delle vie nuove per affrontare un tempo di tempeste. Resta da sapere se i suoi uditori, i più alti responsabili politici europei, faranno tesoro di queste osservazioni nelle loro responsabilità concrete.