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Il Vangelo? Per gli italiani è uno sconosciuto

M.Michela Nicolais

“Devota incompetenza”: è la formula coniata dal Censis per sintetizzare il rapporto degli italiani con il Vangelo, in genere ridotto ad un libro in bella mostra sugli scaffali di casa ma quasi mai degno di essere sfogliato. “Il Vangelo secondo gli italiani”, come recita il titolo del rapporto-ricerca presentato oggi a Roma, è un libro, insomma, da “comò”, la cui conoscenza si riduce a spigolature e reminiscenze catechistiche sulla vita di Cristo, anche per chi frequenta abitualmente i circuiti ecclesiali. Unica sorpresa in controtendenza: l’interesse suscitato tra i giovani.

“Circa l’80% degli italiani non ha dimestichezza col Vangelo”.

Così il curatore, Giulio De Rita, ha sintetizzato i risultati del rapporto, presentato presso la sede del Censis contestualmente all’opera “Vangeli nella cultura e nell’arte”, un’edizione di pregio a tiratura limitata dei Vangeli, realizzata dalla casa editrice Utet Grandi Opere. “Quasi il 70% degli italiani possiede una copia del Vangelo – tutti ce l’abbiamo nello scaffale di casa – ma di questi il 51% non lo apre mai”. Se si somma questa percentuale al 30% degli italiani che non possiede una copia del Vangelo, si arriva al dato dell’80%: ciò significa che il 20% degli italiani non legge mai il Vangelo, e di questi il 33% frequenta la Chiesa. Circa un terzo di coloro che vanno a Messa, insomma, non lo conosce.

Solo il 21% degli italiani, tuttavia, si mostra distaccato nei confronti del Vangelo: il 48% lo considera un testo fondamentale del nostro patrimonio culturale, il 31% se ne dice “toccato nell’animo”, ma poi il 44% non sa quanti sono gli evangelisti e l’11% non sa citarne a memoria il nome di almeno uno. In compenso, il 78% degli italiani dimostra di sapere che l’Ave Maria non è contenuta del Vangelo. Più che parole, il Vangelo evoca immagini: solo il 20% degli italiani è in grado infatti di citarne un versetto, ma il 66% ne ha in mente un’immagine, come quella dell’Ultima Cena o del Presepe.

La buona notizia, però, è che torna l’interesse dei giovani per il libro sacro: dal rapporto Censis risulta infatti che i giovani hanno più confidenza con il Vangelo delle persone di mezza età: il 70% ne possiede una copia, contro il 65% della generazione di mezzo. Si tratta, in particolare, di un interesse molto polarizzato, che va dalla “indifferenza informata” alla “attenzione informata”: la metà dei giovani che ne possiedono una copia ammettono di leggerlo, anche se non spesso, contro il 43% dei 30-50enni.

“Far uscire il Vangelo fuori dagli scaffali e dai circuiti più scontati, per cercare di tramandarlo nei contesti in cui è più sorprendente, e quindi restituirlo come annuncio vivo, nuovo e sorprendente”.

È il suggerimento di Marco Damilano, vicedirettore de L’Espresso, secondo il quale sul fronte cattolico occorre chiedersi “che frutti porta l’albero della formazione, dell’educazione che parte dalla catechesi, passa per l’ora di religione – il cui rifiuto di avvelarsene a scuola è cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni, passando dal 6 al 12% – e interessa poi la formazione dei giovani adulti, le associazioni, i movimenti, i gruppi spirituali, tutti quelli che fanno informazione a vario titolo nel mondo cattolico, chi fa cultura, chi fa televisione…”. “Se lasciamo il Vangelo in un ghetto”, ha proseguito Damilano, la responsabilità è anche della “cultura laica”, “del mondo culturale in senso ampio”, che “ha perso dimestichezza con queste pagine e con quelle immagini”.

“Oggi viviamo in un mondo Occidentale che si sente fortemente minacciato”. E’ l’analisi di monsignor Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze e autore del volume “I Vangeli nella cultura e nell’arte”. “Anche le persone che vorrebbero relegare il Vangelo al passato – la tesi dell’esperto – cominciano a capire che, di fronte a nemici che ritengono di avere un’identità radicata in testi sacri letti in un certo modo, anche l’Occidente deve riscoprire non generiche radici, ma le radici di un umanesimo cristiano: un umanesimo di cui tutti siamo eredi, ma che ha bisogno di essere rimesso nelle sue giuste prospettive, come lampada e luce nel nostro cammino”.

“A differenza degli ebrei e dei musulmani, noi non siamo una religione del libro”.

La provocazione è giunta da Giuseppe De Rita, presidente del Censis. “Se non partiamo da una cultura del libro, come fanno gli ebrei e i musulmani, noi cristiani andiamo in regressione”, la tesi del sociologo, secondo il quale “in una cultura politeista il Vangelo come libro è il riferimento della nostra identità non solo religiosa, ma culturale”. “All’interno di una cultura che ci bombarda di messaggi, perché non arrivano i messaggi evangelici?”, il secondo interrogativo posto dal relatore: “Oggi i messaggi che arrivano sono troppi, si sovrappongono, e il modo in cui un tweet mette in circuito un messaggio non è lo stesso con cui lo metteva in circuito un’ edicola”. Altro problema, la mediazione: “Prima la svolgeva un élite, oggi chi fa mediazione deve rincorrere disperatamente la notizia”. Cosa resta, allora? “La devozione”, ha spiegato il sociologo.

“Oggi in Italia c’è un astensionismo culturale”.

Ne è convinto Fabio Lazzari, presidente Utet Grandi Opere. “Il 40% delle persone non legge neanche un libro l’anno – ha fatto notare l’esperto – e di questi il 27% sono astensionisti totali, che non hanno nessun rapporto con la cultura: non leggono libri, non vanno al teatro, al cinema, in un museo…”. “I cattolici mostrano un così grande rispetto nei confronti delle Sacre Scritture che se ne stanno il più lontano possibile”, ha chiosato Lazzari citando Claudel.

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