OLANDA – È stato presentato a Utrecht il 28 ottobre il rapporto “Povertà nei Paesi Bassi 2016”, curato dalla Knooppunt Kerken en Armoede, piattaforma di collegamento tra istituzioni di matrice cristiana che si occupano di povertà. Tratto distintivo di questo documento, giunto ormai alla sua settima edizione, è che si tratta di una “indagine inter-denominazionale” che fotografa i servizi e gli aiuti alla povertà che le parrocchie, le comunità e le istituzioni assistenziali di dieci diverse denominazioni cristiane offrono nei Paesi Bassi.
“Il numero complessivo di richieste di aiuto è aumentato da 39,481 nel 2012 a 49,474 nel 2015. Hanno trovato risposta 44,177 di esse (contro le 32,569 nel 2012)” fotografa con grande precisione il rapporto. Sono soprattutto le iniziative assistenziali della Chiesa protestante e di quella cattolica ad avere visto un drastico incremento delle richieste: da 12,151 nel 2012 a 18,857 nel 2015 per i centri protestanti; da 14,957 nel 2012 a 16,255 nel 2015 per gli aiuti cattolici. Il bisogno più diffuso è quello di soldi a fondo perduto (88.9%), per pagare le bollette o gli affitti; al secondo posto è la richiesta di generi di consumo (71.7%), al terzo è l’aiuto economico sotto forma di prestiti (51.0%). Ne consegue che le chiese olandesi hanno speso complessivamente oltre 36 milioni di euro per “alleviare la povertà”, contro i 29 milioni del 2013. Con una precisazione: “L’aumento nell’impegno economico è tanto più degno di nota a fronte della diminuzione in tante Chiese del numero di fedeli, di organizzazioni caritative e di risorse economiche disponibili”.Ovviamente l’aiuto è offerto senza considerare l’appartenenza ecclesiale di chi lo chiede.
Sono 16,800 le persone attive a vario titolo; 549.700 le ore di volontariato. Se si contano poi anche le iniziative di solidarietà “su scala comunitaria”, come le collette alimentari e iniziative diffuse, sono altre 28 mila persone per 728,600 ore. “Sarebbero state necessarie 683 persone stipendiate a tempo pieno per compiere lo stesso lavoro”. Un risparmio per lo Stato di € 38,349,000.
Il quadro è chiaro: il problema è in crescita e le Chiese sono sempre più attive. “La povertà rimane sul radar delle Chiese, anche perché non è più un tabù nelle comunità di fede” per questo aumenta la “disponibilità a dare una mano”. Ad aver bisogno di aiuto sono “gruppi sociali vulnerabili”: persone senza lavoro innanzitutto, poi le famiglie monoparentali, i richiedenti asilo, i malati mentali e gli over 65. Sono cresciute rispetto al 2012 le richieste di aiuto da parte di malati cronici o disabili, da chi ha debiti sui mutui, dai lavoratori autonomi”. La denuncia: “Non si riesce a intravvedere nessun risultato positivo della politica di governo contro la povertà in questi gruppi vulnerabili”. Anche lo stipendio minimo garantito è troppo basso per riuscire a vivere dopo aver pagato i “costi fissi troppo onerosi per l’affitto, l’energia, l’assicurazione, l’assistenza sanitaria”. In più, le persone nel bisogno devono combattere con una burocrazia sempre più complicata per ottenere aiuti o si vedono temporaneamente o definitivamente escluse dai piani di sostegno, perché ridotti o eliminati. Alla luce di questa situazione le Chiese chiedono al Governo una serie di misure legislative di sostegno, come l’innalzamento del salario minimo garantito, o l’esclusione dei gruppi vulnerabili dai tagli dei benefici; e poi anche di semplificare e velocizzare i tempi per l’erogazione degli aiuti. Ma si chiedono soprattutto misure per affrontare i problemi legati al debito e alle relative speculazioni. Alle municipalità la richiesta è invece di migliorare i servizi, rendendoli più accessibili e personalizzati; liberare risorse per “fondi di emergenza”; definire politiche locali di lotta alla povertà e verificare quali siano gli effetti sulla povertà di ogni misura politica adottata, qualsiasi sia l’ambito. Per migliorare invece il lavoro delle Chiese è necessaria più formazione per chi si impegna nel settore, perché l’aiuto sia sempre più efficace e risolutivo, maggiore collaborazione tra le Chiese anche nel lavoro di “monitoraggio della povertà e delle politiche sulla povertà” e nel dialogo con le istituzioni locali; maggiore attenzione sul fronte dell’assistenza sanitaria e anche “pensare a possibilità di vacanze per chi è in situazione di povertà”.
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