DIOCESI – Pubblichiamo la lettera aperta del Vescovo Carlo Bresciani rivolta i genitori della diocesi.
Carissimi genitori,
siamo all’inizio di un nuovo anno pastorale e ogni parrocchia riprende gli impegni di formazione alla vita cristiana, la preparazione alla ricezione dei sacramenti per i bambini e i ragazzi, la preparazione al matrimonio per i giovani e tutte le altre iniziative che hanno lo scopo di accompagnare in una vita cristiana matura e adulta nella comunità che è la Chiesa, corpo di Cristo.
Mi rivolgo a voi, cari genitori, per riflettere brevemente con voi sull’educazione alla vita cristiana dei vostri figli. So molto bene che essa non è solo nelle vostre mani, ma so anche che la famiglia riveste ancora un ruolo fondamentale, almeno nella prima educazione degli anni della fanciullezza e dell’adolescenza. Notiamo tutti quanto sia grande oggi la difficoltà nella trasmissione della fede, voi me lo confermate: il contesto culturale non sempre ci aiuta con i messaggi di indifferenza nei confronti della fede, e non di rado della fede cattolica, di cui trasudano i mezzi di comunicazione.
Ma sono convinto che il ruolo della famiglia è tutt’altro che superato, soprattutto se famiglia e Chiesa cercano di aiutarsi e sostenersi a vicenda in questo entusiasmante compito di far sperimentare l’amore di Dio ai nostri ragazzi. Sono convinto che la famiglia deve riprendersi il ruolo primario nella trasmissione della fede ai figli, certo aiutata dalla Chiesa, dai vostri sacerdoti e dai catechisti. Ciò significa che non basta mandare i figli al catechismo in vista di poter ricevere i sacramenti, né basta assicurarsi che scelgano di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica a scuola: cose ovviamente buone e assolutamente da raccomandare, ma non sufficienti. Solo un cieco può ritenere che oggi questo basti: è sufficiente dare un veloce sguardo a quali sono i risultati in termini di vita cristiana vissuta con la comunità, in termini di partecipazione ai momenti principali della vita cristiana che hanno il loro culmine nella celebrazione eucaristica domenicale.
Perché questo? Dobbiamo chiedercelo tutti, Chiesa e famiglie, con onestà davanti a Dio e cercare insieme di dare risposta non evasiva, ma responsabile: lo dobbiamo a noi stessi, a Dio e ai nostri ragazzi. Non possiamo continuare come se nulla fosse avvenuto e nulla fosse cambiato nel nostro contesto culturale.
Che fare?
Carissimi genitori, penso che la famiglia debba ricominciare ad educare alla fede vissuta insieme, nei molteplici momenti semplici e quotidiani che essa comporta, e ciò fin dalla primissima infanzia, con quei gesti e quelle parole che interpretano, alla luce della fede, quanto si vive giorno per giorno e aiutando noi e i nostri figli a scelte coerenti con la fede che professiamo.
Da dove partire? Dalla preghiera fatta insieme, con le parole semplici che papà e mamma sanno usare per dire con i propri figli a Dio le gioie e le fatiche, le speranze e i ringraziamenti per tutto quanto è dato di esperimentare, vedendo in tutto la mano di Dio che ci accompagna, dona e sostiene.
Il primo catechismo
Il primo catechismo il bambino lo apprende e lo vive sulle ginocchia della mamma e del papà che insegnano il primo segno della croce, nella sala da pranzo dove si consuma insieme nella gioia il pasto quotidiano e nella camera da letto quando si ringrazia Dio per la giornata che ci dona, nel giardino di casa quando si ammirano i fiori che cantano la bellezza di Dio e nel bacio di delicato affetto che ci si scambia in famiglia e che è piccolo riflesso dell’amore stesso di Dio.
Il primo luogo in cui si vive la nostra fede, cioè la presenza di Dio, è la famiglia, con le sue gioie e le sue fatiche: è lì dove riceviamo amore e siamo chiamati ad amare con gli occhi e il cuore di Dio.
A volte sento dire da parte dei genitori: ma io non sono capace di fare catechismo a mio figlio. Può essere vero se intendiamo la spiegazione, con termini teologicamente esatti, delle verità della fede: per questo può esserci il bisogno dell’aiuto del catechista della parrocchia o del parroco. Ma non è necessario che un genitore sappia fare questo: se lo sa fare, molto bene, lo faccia. Ma non basta la conoscenza delle verità della fede, se non si vive un rapporto semplice e vero con il Dio che incontriamo nei momenti che segnano la vita di ogni giorno. È questa presenza di Dio che porta alla lode e alla preghiera a Lui che ogni genitore può trasmettere, vivendola innanzitutto egli stesso in prima persona e poi nel rapporto con il coniuge e con i figli. Aiutate i vostri figli a vivere alla presenza di Dio fin dalla primissima infanzia, così come insegnate loro con tanto affetto a dire le prime parole, non rimandate a quando saranno più grandi privandoli della gioia dell’amico Gesù.
Il segno della croce
È il primo atto di fede, semplice e immediato che si può vivere insieme in famiglia, più volte al giorno. Esso significa confessare, riconoscere e chiedere l’aiuto e il sostegno di Dio in quanto si sta vivendo. Molte sono le occasioni per questo semplicissimo atto di fede: il mattino, appena alzati, come ringraziamento per il nuovo giorno e richiesta di aiuto per l’impegnativa giornata che ci attende; prima di godere la gioia di un mattutino buon caffè con calda brioche che mamma ha preparato con tanto affetto; prima di un pasto consumato nell’intimità famigliare; prima di andare a letto come ringraziamento o richiesta di perdono per quanto vissuto nella giornata.
Quante occasioni per richiamare e vivere alla presenza di Dio! C’è una occasione che mi sembra molto bella e significativa: si tratta della benedizione che il genitore traccia con un segno della croce sulla fronte del figlio prima della buona notte o prima che esca di casa. Segno di grande affetto, ma anche di affidamento alle mani di Dio di ciò che abbiamo di più caro. Quel segno di croce accompagnerà come un gesto di grande affetto e custodirà alla presenza di Dio.
Ogni genitore può vivere questo e aiutare i propri figli a comprendere, ma soprattutto a vivere questi gesti con intensità nella consapevolezza di vivere nella presenza di Dio che accompagna in ogni momento della vita. Se vissuti così, questi gesti e atteggiamenti non sono formalità!
Conoscere
Sappiamo molto bene che non si può amare chi non si conosce. Ci sono molti modi in cui si può conoscere una persona, così come ci sono molti modi in cui un genitore può aiutare il proprio figlio a conoscere Gesù: c’è la conoscenza dello specialista che parla dell’uomo facendo molte speculazioni filosofiche o teologiche, vere ma talvolta difficili da capire; e c’è anche la conoscenza che noi abbiamo delle persone che amiamo veramente e profondamente, senza che su di esse siamo in grado di fare chissà quali discorsi teologici. Mamma ama papà, papà ama mamma: si tratta di un amore vero e profondo, anche se nessuno dei due ha studiato filosofia o teologia.
Ciò significa che mamma e papà sono in grado di introdurre i figli a quella conoscenza di Gesù che apre all’amore che essi stessi vivono per Lui e tra di loro. Ogni genitore è in grado di parlare di Dio e di Gesù ai propri figli.
Mi si dirà che questo non basta: proprio per questo chiedete l’aiuto alla parrocchia e ai catechisti i quali sono chiamati ad accompagnare nell’approfondimento di una relazione con quel Gesù che già hanno imparato a conoscere e ad amare. Non si tratta solo di conoscere di più, ma di conoscere meglio per amare di più. Il catechismo è la continuazione di una scuola di amore che è incominciata in famiglia: se non è così, serve a poco o a nulla.
Ovviamente questo conoscere meglio e di più per amare di più non è questione che riguarda solo i nostri figli: riguarda anche noi adulti, anche papà e mamma. Come possiamo conoscere di più Gesù? Attraverso la Parola di Dio che ci libera dai fantasmi e dalle superstizioni che ne stravolgono e deturpano il volto di amore. Anche noi adulti dobbiamo conoscere sempre meglio Gesù, Parola di amore di Dio per ciascuno di noi: lo dobbiamo a noi stessi e ai nostri figli. Per questo diventa importante la partecipazione alle catechesi parrocchiali in cui insieme, attraverso la Bibbia, scopriamo il vero volto di Gesù.
Celebrare
La conoscenza e l’amore per una persona hanno bisogno di essere celebrate nella gioia. Quando amo una persona voglio incontrala, stare con lei, fermarmi ad ascoltarla, fare festa con lei. Lo stesso è per il nostro rapporto con Gesù, se veramente lo amiamo. Fare festa insieme approfondisce l’amicizia e la conoscenza. Ecco perché il catechismo che non porta a celebrare nella gioia l’incontro con Gesù, resta sterile. La nostra fede va celebrata insieme, come si celebra insieme la liturgia dell’amore familiare. Sta qui il senso della domenica e delle feste solenni nelle quali celebriamo insieme, nella gioia e nel ringraziamento, la presenza e l’opera di Gesù tra di noi.
Carissimi genitori, impariamo a celebrare insieme l’eucaristia domenicale con tutta la famiglia insieme alla comunità parrocchiale. Ridiamo solennità a questo momento centrale della domenica vissuto come famiglia, recuperiamo il ‘vestito della festa’ che non è fatto tanto di panni particolari, quanto di clima e diversa organizzazione del tempo non segnato solo dal riposo dalla scuola o dal lavoro, ma da un tempo speciale vissuto con Gesù e con la comunità cristiana. Resistiamo alla secolarizzazione della domenica che diventa solo divertimento, del Natale che diventa la festa dell’inverno, della Pasqua che diventa la festa della primavera o di tutti i santi che diventa la festa di Holloween.
C’è un celebrare con la comunità cristiana, ma c’è anche un celebrare in famiglia. Quanto è bello avere qualche momento di preghiera in famiglia: prima dei pasti, o la sera facendo tacere qualche vuoto programma televisivo. Si tratta di momenti in cui ci si riconcilia superando le tensioni che inevitabilmente la giornata porta con sé.
Quest’anno è partita nella nostra diocesi l’iniziativa ‘sentieri d’amore’: famiglie che si trovano con altre famiglie nelle case per un momento di preghiera una volta al mese seguendo un itinerario proposto dalla diocesi e in accordo con il parroco. Si tratta di accogliere la grazia di Dio che viene nelle case a condividere i momenti del cammino della vita, di sostenersi insieme nella preghiera e di celebrare insieme i doni di Dio. Non c’è bisogno di essere preti o teologi per fare questo, ma è molto gradito al Signore.
Vivere gesti di carità
Si tratta del terzo verbo, dopo conoscere e celebrare, che vi propongo come cammino che accompagna noi e i nostri ragazzi verso la maturità della vita cristiana. L’incontro con l’amore di Dio per ciascuno di noi, la sua celebrazione insieme alla comunità cristiana porta a un cuore grande che si traduce in uno stile di vita che si manifesta innanzitutto in famiglia.
Si tratta di tradurre l’amore nei gesti quotidiani della vita familiare, lasciandoci ispirare da Gesù. Papa Francesco ha condensato questo in tre parole: ‘permesso, grazie, scusa’. Quanta saggezza c’è in queste parole che a volte si dimenticano facilmente. Infiniti sono i gesti di carità spicciola, ma vera, che si possono vivere in famiglia: un sorriso, una carezza che stempera tensioni, un aiuto a sistemare, una attenzione all’ordine delle cose … Se proviamo a pensarci troviamo gesti di carità che possono essere compiuti da ciascun membro in ogni stanza della casa, a partire dal giardino e dal garage fino alla soffitta.
Ma educhiamo a gesti di carità anche fuori casa, quasi come un torrente che, alimentato dalla sorgente in casa, esce per le strade del paese e rende fertile la vita della comunità. La comunità ha bisogno di noi, della nostra presenza innanzitutto. Costruire la comunità è, dopo l’educazione in famiglia, l’atto di amore più grande che un genitore può fare per i propri figli. Il beato Paolo VI chiamava questa ‘la carità più grande’. Chiamare accanto a sé i figli in questo è introdurli nel modo più sano possibile nella vita. Come ben vediamo, qui il campo è vastissimo e la fantasia di ognuno di noi può trovare le proprie modalità: da quelle suggerite dalla parrocchia, a quelle delle varie organizzazioni caritative del territorio e della Caritas, alle necessità concrete del vicino di casa.
Se è vero che non bastano le opere, e che le opere non sono tutto, non dimentichiamo mai che la fede senza le opere è morta. Il cristiano è colui che vive ciò che celebra e in tal modo dà pieno sapore alla propria vita.
Carissimi genitori, siamo insieme impegnati a vivere con gioia la vita che Dio ci ha donato e a far crescere nella fede e nell’amore a Lui i figli che ci sono affidati. Sono figli suoi, prima ancora che nostri. Per questo sappiamo che egli non ci lascia soli in questo nostro compito, ci dà la grazia che proviene dal matrimonio, oltre che dagli altri sacramenti della fede, ma ci dona anche la Chiesa che si rende presente nella comunità parrocchiale in cui esperimentiamo la presenza concreta di Gesù in mezzo a noi.
Costruiamo insieme questa Chiesa, amiamola come corpo di Cristo, insegniamo ai nostri figli a farne parte e insieme con loro viviamo nella gioia perché Dio ci ama sempre, anche nelle nostre difficoltà e fatiche. Rendiamogli sempre grazie per il suo amore che è sempre infinitamente più grande di quello che ci meritiamo.
Vi accompagno con la mia preghiera e, condividendo le vostre ansie e preoccupazioni, vi benedico di cuore, affidandovi alla mani di Colui che più di tutti vi può aiutare.
Il vostro vescovo