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Reti della carità: accanto agli ultimi all’insegna della gratuità e dell’impegno sociale

PaneDi Francesco Rossi

Fare rete per opporsi alla rassegnazione di un mondo sempre più diseguale e di un’economia che genera scarti, povertà e fragilità crescenti. Era il 2013 e, nel mezzo della crisi economica, fu questa volontà a muovere la Casa della Carità di Milano e il suo presidente, don Virginio Colmegna, a costruire qualcosa di nuovo, raggruppando “tante scintille che, insieme, contribuiscono a creare un varco di luce in mezzo al buio”. Nacquero così le Reti della carità, espressione di realtà e persone che operano a sostegno degli ultimi, all’insegna della gratuità e impegnandosi per favorire il cambiamento sociale.

A tre anni dal lancio sono una quarantina le realtà aderenti e le persone coinvolte a titolo personale, mentre il percorso – scandito da incontri mensili per vedersi in faccia, riflettere insieme, scambiarsi consigli e suggerimenti – è accompagnato pure da alcuni vescovi: monsignor Rodolfo Cetoloni, Luciano Giovannetti, Giovanni Giudici, Francesco Savino e Gastone Simoni. Anche il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, si è messo in cammino con le “Reti della carità”, incontrandole a Milano nel maggio 2015.

A tre anni dall’avvio di quest’esperienza, il 17 ottobre scorso le “Reti” hanno tenuto a Bologna la loro prima iniziativa pubblica, dopo aver raccontato la genesi di questo progetto nel volume “La nascita delle Reti della carità”, edito da Erickson.

Nel 2013 non c’era solo la crisi, per la quale Caritas, parrocchie e associazioni “hanno visto crescere in maniera sensibile – ricorda don Colmegna – il numero di persone in situazioni di bisogno”, mentre le istituzioni delegavano loro sempre più “ampie fette di welfare” e la contrazione dell’economia riduceva le “voci positive di bilanci spesso già difficili da far quadrare”. Il 2013 è anche l’anno di Jorge Mario Bergoglio, il papa venuto “dalla fine del mondo”, che pochi giorni dopo l’elezione lamentò come una Chiesa presa da quantità e organizzazione finisca per perdere “la sua principale sostanza” trasformandosi “in una Ong”.

Papa Francesco, osserva Colmegna, “ha ricordato alla Chiesa e, quindi, anche a tutte le iniziative sociali d’ispirazione cristiana che, per quanto sia importante avere un’organizzazione efficiente, il loro compito va ben oltre la gestione pratica”.

Così ha preso forma questo collegamento “non gerarchico, ma orizzontale e dialogico”, di “realtà affini, operanti in modo differente ma contiguo nel campo della prevenzione e della lotta alla povertà e alle discriminazioni”.

Dal Sud al Nord, all’interno delle “Reti della carità” si trovano storie di riscatto sociale e dignità restituita. Come a Napoli, nel rione Sanità, dove don Antonio Loffredo, parroco della basilica Santa Maria della Sanità, ha realizzato cooperative impegnate nel recupero dei beni storico-artistici, dando un lavoro e, perciò, sottraendo dalla strada diversi giovani. Al centro, il progetto Catacombe di Napoli. “La bellezza esiste, ma bisogna saperla vedere – dichiara il parroco – anche nelle fratture, nelle ferite. Parlare di bellezza nel quartiere Sanità significa accostare l’estetica all’etica”, perché “attraverso la cura delle pietre possiamo prenderci cura anche delle persone”.

È la “via della bellezza” – sostiene don Antonio – che sottrae i giovani alla disoccupazione e alla malavita.

Passando al Centro Italia, a Montevarchi (provincia di Arezzo e diocesi di Fiesole) c’è una canonica nella quale vivono 3 preti e 35 ospiti. “È una canonica normale nella quale abbiamo fatto posto ai poveri”, racconta don Mauro Frasi, parroco di Santa Maria del Giglio. “Lo stile è quello della casa famiglia: si mangia e si vive insieme, negli stessi spazi e con gli stessi tempi”. E se l’accoglienza richiama alla mente i profughi, qui invece “la gran parte sono poveri ‘vicini’, colpiti da quelle nuove povertà così diffuse e che portano alla fragilità sociale, senza lavoro e senza salute”, delineate anche dal recente Rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale.

“Opera segno della provvidenza, all’insegna della povertà e della gratuità”, la casa parrocchiale di Santa Maria del Giglio si affianca a un’altra canonica – a Pian di Scò, sempre nella diocesi di Fiesole – dove ha sede la Fraternità della visitazione, nella quale “assieme a 3 suore vivono 25 mamme con i loro bambini”.

In queste realtà, ricorda don Mauro, all’accoglienza fa seguito l’accompagnamento nelle diverse necessità, come la ricerca del lavoro, “per recuperare il coraggio di vivere”.

Salendo in Emilia, a Bologna nella parrocchia di Sant’Antonio da Padova a La Dozza vive una comunità delle Famiglie della visitazione e anche qui, in canonica, la quotidianità è con poveri e stranieri. “Vogliamo portare questa gente dentro la nostra vita”, spiega don Giovanni Nicolini, sottolineando che “un conto è favorire un’istituzione che si occupa, ad esempio, dell’accoglienza ai profughi, altro è averli alla propria tavola”. Al Nord, invece, tra le realtà che si riconoscono nelle “Reti della carità” c’è la Casa della Carità “A. Abriani”, a Milano, voluta dal cardinal Martini e guidata da don Virginio Colmegna, particolarmente impegnata nell’accoglienza delle fragilità sociali e – in questi anni – dei profughi. “Il fenomeno migratorio non è un’emergenza”, bensì “un’opportunità”, sottolinea don Colmegna, e allora bisogna “dare senso a una rete di solidarietà che si sta creando nel Paese”, affinché porti a “scelte legislative coerenti” e “la politica rompa con l’assedio, con i muri, e apra a una speranza grande”.