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Sulla dottrina della pace Papa Benedetto XV ha aperto la strada ai suoi successori

Di Luca Orlandi

Il 1 agosto 1917 papa Giacomo Della Chiesa scriveva una nota ai capi dei popoli belligeranti. Dal 31 agosto 1914, quando il cardinale di origine genovese era stato eletto a sorpresa al soglio pontificio, era in atto da alcun mesi una delle più disumane e tragiche carneficine della storia, la prima guerra mondiale. In quella nota di grande c’era solo la disperata concezione, allora sostenuta da tutte le grandi ideologie e spesso dalla maggior parte delle cancellerie e governi europei e ed extraeuropee che con il conflitto si sarebbe aperta la strada alla costruzione di una società nuova, basata su un avvenire di pace ed equilibro mondiale. In modo profetico e inascoltato Benedetto XV coraggiosamente scrisse che: “Fino dagli inizi del Nostro Pontificato, fra gli orrori della terribile bufera che si era abbattuta sull’ Europa, tre cose sopra le altre Noi ci proponemmo: una perfetta imparzialità verso tutti i belligeranti, quale si conviene a chi è Padre comune e tutti ama con pari affetto i suoi figli; uno sforzo continuo di fare a tutti il maggior bene che da Noi si potesse, e ciò senza accettazione di persone, senza distinzione di nazionalità o di religione, come Ci detta e la legge universale della carità e il supremo ufficio spirituale a Noi affidato da Cristo; infine la cura assidua, richiesta del pari dalla Nostra missione pacificatrice, di nulla omettere, per quanto era in poter Nostro, che giovasse ad affrettare la fine di questa calamità, inducendo i popoli e i loro Capi a più miti consigli, alle serene deliberazioni della pace, di una pace giusta e duratura”.

Era il 1917 e la Chiesa, spesso sotto i colpi feroci dell’anticlericalismo era considerata da una parte consistente dell’opinione pubblica liberale, arretrata e antimoderna.

Ma questo scritto come le encicliche, i pronunciamenti, le omelie e l’azione diplomatica di papa Benedetto XV, troppo spesso accantonato e poco considerato dalla storiografia contemporanea, appaiono cento anni dopo di una straordinaria attualità. A Bologna un convegno storico internazionale, a distanza di oltre cento anni dalla sua elezione al soglio pontificio, indaga il magistero di papa Della Chiesa con un convegno  intitolato “Papa Giacomo della Chiesa nel mondo dell’inutile strage”. All’Archiginnasio e nei locali della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII, oltre cento specialisti docenti e ricercatori di tutto il mondo, nel campo della storia della Chiesa e della storia sociale e religiosa, hanno approfondito il pensiero, l’azione pastorale e la spiritualità di un papa, oggi da rivalutare.

Il dramma della guerra è la costante angoscia che assilla Benedetto XV durante l’intero conflitto.

Fin dalla prima Enciclica — “Ad beatissimi Apostolorum” dell’1° novembre 1914 quale “Padre di tutti gli uomini” egli denuncia che “ogni giorno la terra ridonda di nuovo sangue e si ricopre di morti e feriti”. E scongiura Prìncipi e Governanti a considerare lo straziante spettacolo presentato dall’Europa: “il più tetro, forse, e il più luttuoso nella storia dei tempi”. In particolare ciò che è emerso dalla prolusione del Segretario di Stato Vaticano card. Pietro Parolin, dai saluti delle autorità civili ed ecclesiastiche e dagli studi espressi nelle oltre 70 relazioni che hanno scandagliato l’intera parabola umana di Giacomo Della Chiesa. La visione profetica di Benedetto XV è stata non solo nel campo della pace, la riforma della chiesa, la fine della lotta antimodernista, l’apertura alla partecipazione attiva dei cattolici alla vita politica.

Sul tema della guerra e della pace, Benedetto XV ha aperto la strada al magistero dei suoi successori. Dai santi e beati Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. E se Joseph Ratzinger diventato Benedetto XVI iniziò nel 2005 a fare memoria viva del suo predecessore, oggi le espressioni forti di papa Francesco che parla di terza guerra mondiale a pezzi, sono il segno di una continuità di prospettiva nata nella verità del Vangelo di Gesù dell’amore per i fratelli. E con le beatitudini che indicano gli operatori di pace come figli di Dio.

Ma la preghiera, gli appelli, il dialogo con tutti sono accompagnati da un’azione diplomatica che propone una visione diversa per l’umanità: per la prima volta si sente la parola disarmo, arbitrato, emancipazione dei popoli, capacità di dare un’anima a territori e continenti, come si evince in modo netto nell’Enciclica “Quod iam diu” dell’1 dicembre 1918 che si pone come l’indirizzo della Chiesa, spesso osteggiata dagli Stati e da molti suoi fedeli, rispetto ai lavori della Conferenza internazionale della pace — inaugurata a Parigi il 18 gennaio 1919 e destinata a concludersi con il trattato del 28 giugno 1919. L’auspicio del pontefice genovese che invitata sempre a pregare i cattolici di tutto il mondo per la pace, era che i delegati adottassero decisioni fondate sui princìpi cristiani della giustizia, a sostegno dei popoli più deboli e poveri. Benedetto XV parlò di “suicidio dell’Europa” perché allora, come oggi, i popoli del Continente stavano perdendo l’anima profonda dell’unità: la capacità di dirsi e darsi un orizzonte di valori, di fraternità e convivenza, abbandonando, allora lo spirito di conquista, di potere e potenza militare, e oggi la fragile ed effimera difesa di un rischio ed impossibile unico orizzonte economico-finanziario. Benedetto XV figlio di nobili genovesi nato nel cuore dell’Ottocento è molto più vicino a Francesco, nato a Buenos Aires da una famiglia di migranti provenienti dalla profonda e antica terra di radicati e autentici principi cristiani che continua la sua misteriosa azione nella storia.

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