I negoziati ufficiali sono appena iniziati, eppure Europarlamento e Consiglio dei ministri Ue – le due autorità di bilancio in sede comunitaria – sono già al braccio di ferro. La posta in gioco è la definizione del budget Ue per l’anno 2017: fondi freschi, provenienti dalle casse nazionali e diretti a Bruxelles per essere a loro volta reinvestiti per la quasi totalità negli Stati membri, secondo criteri di solidarietà e indirizzati a progetti volti alla crescita economica, al miglioramento della qualità della vita, alla sicurezza, alle infrastrutture e alla ricerca… La partita per il prossimo anno si aggira attorno a 135 miliardi: una cifra enorme in valore assoluto, ma tutto sommato modesta se si pensa che la torta andrà divisa in 28 fette, tanti sono gli Stati Ue, Regno Unito compreso nonostante il Brexit.
La “guerra” dei numeri. Come sempre l’iter del bilancio parte dalla Commissione, che a fine giugno propone (questo è il suo compito) uno schema di bilancio. Per il 2017 l’Esecutivo guidato da Jean-Claude Juncker ha previsto, al netto delle virgole, “impegni” (ossia i finanziamenti che possono essere stabiliti nei contratti in un determinato anno) per 158 miliardi di euro, e “pagamenti” (importi effettivamente erogabili in 12 mesi; è questa la cifra da tenere sott’occhio) per 135 miliardi. Dal canto suo il Consiglio dei ministri Ue a settembre ha ritoccato verso il basso tali cifre, portandole rispettivamente a 156 e 134; sostanzialmente gli Stati membri, che sono i principali contributori delle casse di Bruxelles e al contempo anche i beneficiari dei fondi provenienti dal bilancio, sarebbero intenzionati a tagliare il budget di 1 o 2 miliardi. Al contrario il Parlamento europeo ha votato durante la plenaria del 24-27 ottobre la propria proposta: 161 miliardi di impegni, 137 di pagamenti.
Come sempre l’Assemblea di Strasburgo, dando voce ai cittadini, tende a innalzare le cifre, sostenendo che per rispondere ai suoi compiti l’Ue ha bisogno di un portafogli più sostanzioso.
Chi paga di più, chi prende di più. Attorno al bilancio è in corso una battaglia tutta politica. Fino al 17 novembre Parlamento e Consiglio Ue hanno tempo per “conciliare” le rispettive posizioni, così da giungere al via libera definitivo entro dicembre ed evitare uno stallo finanziario.
Ma non si tratta solo di una discussione tra istituzioni comuni, perché sul bilancio pesano le posizioni dei singoli Stati, i possibili veti (anche l’Italia lo ha minacciato), i tentativi di accaparrarsi quanti più fondi possibili.
In questo caso emergono da una parte i Paesi cosiddetti “contributori netti”, ovvero quelli che versano nelle case Ue più di quanto riportino a casa sotto forma di investimenti (qui spiccano Germania, Francia e Italia), e dall’altra i Paesi beneficiari: è risaputo che una gran parte dei soldi provenienti dal budget dell’Unione prende a strada di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria. Ovvero quegli Stati che poi, contravvenendo agli accordi sottoscritti, non si fanno carico dei rifugiati, rifiutando i ricollocamenti e lasciando l’onere dell’accoglienza a Italia e Grecia.
Effetto moltiplicatore. Ma se questa è l’aspetto politico, quale via prendono effettivamente i finanziamenti comunitari? La vice presidente della Commissione, Kristalina Georgieva, responsabile del bilancio, ha dichiarato: “L’Ue si trova di fronte a sfide enormi e in questi momenti difficili un bilancio mirato ed efficace non è un lusso bensì una necessità: contribuisce a stimolare l’economia e aiuta ad affrontare problematiche quali la crisi dei rifugiati”. La Commissione ha proposto per i progetti a sostegno della crescita economica 74,6 miliardi di euro, a fronte di 69,8 miliardi nel 2016. In questa cifra sono compresi, ad esempio, oltre 10 miliardi per ricerca e innovazione (Horizon 2020), 2 miliardi per Erasmus+, 2,5 miliardi nell’ambito del Meccanismo per collegare l’Europa. Per sostenere l’agricoltura e tutelare l’ambiente propone un importo di 42,9 miliardi. Sono invece 5,2 miliardi i fondi per rafforzare le frontiere esterne dell’Unione e affrontare la crisi dei rifugiati.
Va ricordato che il bilancio Ue corrisponde all’1% circa del Pil dei 28 Stati Ue
ma può avere un’incidenza considerevole grazie al suo effetto moltiplicatore. Naturalmente i Paesi beneficiari devono essere capaci di far fruttare i fondi strutturali, e in questo campo l’Italia non brilla.
Dall’economia al patrimonio religioso. I fondi Ue riguardano un amplissimo ventaglio di settori: possono aiutare le piccole e medie imprese, sostenere l’economia delle aree depresse, rafforzare la Protezione civile, favorire la formazione giovanile e il volontariato, contribuire agli scambi culturali. Dal bilancio Ue arrivano fondi per il recupero urbanistico, per la valorizzazione del patrimonio storico (comprese chiese, monasteri, vie dei grandi pellegrinaggi come la Francigena o il Cammino di Santiago). E, ancora, fondi Ue sono spesi per la sicurezza e la lotta al terrorismo, la ricerca spaziale, la tutela dei consumatori. Una parte non indifferente di tali fondi va alla cooperazione allo sviluppo.
Una molla per lo sviluppo. L’eurodeputato tedesco Jens Geier, relatore per il Parlamento europeo sul bilancio 2017, il 26 ottobre ha affermato: “L’Ue si trova ad affrontare un numero senza precedenti di sfide diverse. Se vogliamo affrontarle seriamente, abbiamo bisogno di un bilancio ben finanziato. Quando abbiamo negoziato, nel 2013, il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020, c’erano molti meno rifugiati in arrivo ogni anno in Europa. Ora il numero è ben sopra il milione. Le circostanze sono cambiate ebbiamo bisogno di un bilancio più ambizioso”. Ma dal Consiglio Ue lo stesso giorno è arrivato un altolà, affermando di “non poter accogliere tutti gli emendamenti presentati dall’Europarlamento al bilancio 2017”.
Troppe spese, secondo i governi dei Paesi membri, in una fase di ristrettezze dei conti statali.
Le schermaglie politiche sono solo all’inizio, mentre il bilancio – sconosciuto alla maggior parte dei cittadini Ue – può veramente rappresentare una molla per aiutare l’Ue a rialzare la testa e a realizzare risultati concreti a tutto vantaggio degli europei.
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