di Riccardo Benotti
Di fronte alla richiesta di riforma della Chiesa da parte di Papa Francesco e alla riduzione di presenze tra le mura dei monasteri, la vita consacrata italiana si rimbocca le maniche e avvia un percorso di riorganizzazione delle forze in campo. E lo fa a partire dalla prossima assemblea generale della Cism (Conferenza italiana superiori maggiori) in programma a Rimini, dal 14 al 18 novembre, che sarà dedicata al tema della riorganizzazione delle Province sulla scorta delle esperienze già maturate in tante Congregazioni a partire dagli anni ’70. “Non possiamo pensare che la riforma voluta da Papa Francesco riguardi soltanto gli uffici di Curia e non intacchi la struttura dei nostri Istituti religiosi, all’interno del territorio nazionale e in particolare rispetto alla situazione delle chiese particolari dove siamo effettivamente collocati”, spiega padre Luigi Gaetani, presidente della Cism, che rappresenta oltre 200 superiori maggiori.
Dunque, gli Ordini religiosi si stanno ristrutturando nella loro presenza territoriale?
Vogliamo essere in sintonia con quanto ci chiede Francesco.E poi dobbiamo fare i conti con la realtà: assistiamo alla riduzione e all’invecchiamento dei confratelli, ma siamo chiamati a rispondere adeguatamente alle esigenze della pastorale e delle opere che gli Istituti portano avanti.
Nel tempo abbiamo già operato scelte strategiche. Le Province di diversi Istituti hanno trovato modalità di accordo soprattutto nella gestione delle opere e di alcuni settori vitali della vita religiosa, in particolare la fase formativa dei giovani che viene condivisa. E così nel settore della formazione permanente.
Sono possibili anche percorsi di collaborazione tra Congregazioni?
Certamente sono auspicabili. Gli Ordini religiosi possono lavorare insieme per garantire un servizio ecclesiastico, soprattutto in relazione alle opere. Anche sulla scuola o sulla sanità si possono avviare collaborazioni proficue tra Istituti affini, così come a livello di missione. L’ultima forma di cooperazione si sta realizzando nella diocesi di Noto nell’accoglienza dei migranti. Ma questo può realizzarsi anche ad altri livelli.
Come cambia la situazione tra Nord e Sud?
La religiosità popolare è ancora diffusa al Sud, dove è importante garantire una presenza e non generare desertificazione.La riorganizzazione e la fusione delle Province, infatti, non devono portare a dimenticarsi delle periferie. E il Sud è una periferia.
Il Nord, invece, vive una situazione difficile quanto a tenuta della fede. Lo intuiamo, ad esempio, dal calo vocazionale o dalla crisi degli oratori. C’è, però, una capacità organizzativa che porta a dare risposte immediate nelle opere.
C’è differenza anche sul numero di vocazioni?
Il Sud è ancora caratterizzato da un certo fermento, sebbene a macchia di leopardo. La Famiglia francescana, tra gli altri, segna un numero sufficiente di risposte vocazionali, favorito anche dall’impegno profuso in questo campo. Altri Istituti, invece, patiscono.
Negli ultimi quattro anni, i religiosi in Italia sono passati da 19.500 a poco più di 18mila. Come si riesce a gestire le opere esistenti e ad avviarne di nuove?
In tutto il Paese siamo in prima linea nella carità e nell’accoglienza delle persone che vivono in stato di povertà e disagio. L’appello che ci ha rivolto Papa Francesco è stato recepito con grande generosità.
Nonostante tante difficoltà burocratiche, perché possiamo mettere a disposizione le strutture ma chi garantisce in merito alle responsabilità penali o civili? È stato un problema non marginale a cui fare fronte, ma ci siamo mossi per trovare soluzioni possibili.
È in corso anche un ripensamento dei rapporti con le diocesi?
È un progetto in cantiere. Bisogna monitorare il rapporto tra la vita consacrata e le diocesi. È arrivato il momento di riorganizzarci per meglio rispondere alle esigenze della Chiesa italiana. Viviamo una stagione positiva nel rapporto con i vescovi. Dunque, la riscrittura del documento “Mutuae relationes” sarà importante per ricordare la comunione che si compie dentro una Chiesa in stato di missione e co-essenzialità tra dono carismatico e istituzionale. Le mutue relazioni, infatti, non devono essere considerate in senso duale – vescovi e religiosi – ma dentro un rapporto con il popolo di Dio. È all’interno della Chiesa che si realizzano, non tra due settori di essa.
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