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Martino di Tours, esempio di lotta contro l’apostasia

SAN MARTINO

ZENIT

di Osvaldo Rinaldi

Le vite dei santi sono un insegnamento per ogni cristiano, perché rivelano la loro grandezza nel lasciarsi guidare dalla volontà di Dio, il quale spesso gli conduce oltre i propri desideri ed aspirazioni. La vita di Martino di Tours risponde efficacemente a questo insondabile dilemma spirituale, presentandoci come la sua anima sia stata sempre attenta a discernere cosa Dio gli proponeva di compiere.

Martino nacque tra il 316 e 317 a Sabaria, nell’attuale Ungheria, nella provincia romana della Pannonia. La sua vita sembrava essere destinata alla carriera militare, dal momento che il padre era un tribuno militare dell’impero romano. Trasferitosi a Pavia, anche se proveniva da una famiglia pagana, Martino avvertì a 12 anni la chiamata del Signore che lo invitava a condurre una vita “monastica” nel deserto, imitando gli esempi di vita ascetica che stavano iniziando a diffondersi in Nord Africa e Medio Oriente.

Il suo intimo desiderio non potette realizzarlo nell’immediato, perché era in vigore una legge dell’impero romano che obbligava i cittadini a mantenere la stessa condizione sociale e lavorativa della figura paterna. Per Martino, la condizione di soldato non fu un impedimento per compiere opere di carità. A 18 anni donò la metà del suo mantello ad un povero. Nella stessa notte gli apparve Gesù Cristo che indossava quello stessa metà del mantello che aveva condiviso con l’indigente. Questo episodio lo condusse a chiedere il sacramento del Battesimo.

All’età di 25 anni lasciò la carriera militare per recarsi a Poitiers dal Vescovo Ilario, il quale dedicò la sua vita a difendere l’integrità della dottrina cristiana, combattendo con fermezza contro l’eresia ariana. Il vescovo Ilario pagò con l’esilio il suo opporsi alla politica ariana dell’imperatore Costanzo II e fu relegato in Asia. Anche Martino lasciò Poitiers, recandosi in anche a Milano, dove fondò un eremo, ma fu presto allontanato dal vescovo Aussenzio, anch’esso influenzato dall’eresia ariana.

Quando il vescovo Ilario di Poitiers tornò nella sua terra, anche Martino decise di rientrare, e in quell’occasione ebbe l’autorizzazione dal presule di ritirarsi in un eremo a Ligugé, nelle vicinanze di Poitiers. Nacque così la prima comunità monastica della Francia, formata da altri uomini che si aggregarono al futuro Santo. Martino oltre a studiare e meditare le Sacre Scritture, si dedicò all’annunzio del Vangelo ai poveri che vivevano nelle campagne, accompagnando la sua predicazione con vari miracoli.

La sua fama si diffuse per tutta quella regione al punto che nel 371 fu nominato, contro la sua volontà, vescovo di Tours. Compì egregiamente il suo ministero episcopale anche se continuava ad avere nel cuore la vita monastica. Martino scelse infatti di vivere, insieme ad altri fratelli che si aggregarono successivamente, in un eremo solitario a Marmoutir, diventando egli stesso Abate ed imponendo una regola austera di povertà, preghiera e penitenza.

Martino diventò l’amico dei poveri e degli ultimi, visitando i malati, i prigionieri ed i condannati a morte. Tanti miracoli sono avvenuti per suo tramite. San Martino morì l’8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per compiere la sua ultima missione terrena di rimettere pace fra il clero locale. Ai suoi funerali assistettero migliaia di monaci e monache.

La vita di Martino è una luce di fede e di speranza che continua a risplendere a distanza di svariati secoli. Il suo desiderio non era quello di fuggire dalla realtà e nemmeno quello di isolarsi dal mondo. La sua vera intenzione era vivere un’autentica vita cristiana al servizio della Chiesa.

Anche oggi i cristiani sono chiamati a vivere con lo stesso spirito ecclesiale. Lo spirito mondano dell’individualismo e dell’egoismo ha corrotto la società e rischia di entrare sempre più in profondità nella vita della Chiesa. Il modo per fuggire dal veleno della mondanità è quello di aggrapparsi all’insegnamento del Vangelo, testimoniando la coerenza tra fede ed opere, tra parole ed azioni.

Il cristiano è chiamato ad essere riconosciuto non solo per la sua partecipazione alla Santa Messa, per il suo dichiararsi cristiano, per avere dentro casa statue di santi o icone, per avere nella sua macchina immagini sacre. Gli altri capiranno che siamo veramente cristiani se siamo disponibili all’ascolto e alla comprensione delle difficoltà altrui, se viviamo il perdono dimenticandoci del male ricevuto, se manteniamo la pace del cuore anche davanti alle difficoltà della vita, se viviamo gioiosi anche gli aspetti più semplici dell’esistenza, se la nostra famiglia è capace di rimanere unita anche davanti a dolorose situazioni.

Martino ha favorito la riappacificazione tra i membri della sua comunità. Il cristiano è un uomo e una donna di riconciliazione, che è il frutto più maturo dell’accoglienza dello Spirito Santo. Diventa sempre più urgente aderire alla missione beatifica del cristiano di essere operatore di pace.

Martino de Tours ha combattuto l’eresia ariana per difendere l’autenticità dell’insegnamento cristiano. Ogni periodo storico è caratterizzato da eresie, le quali si manifestano ogni volta con sembianze diverse, per ingannare l’uomo e portarlo lontano da Dio. Oggi non si usa più la parola eresia, perché viene considerata arcaica, ma si praticano liberamente tante forme di differenti di eresie spesso addolcite e nascoste. Il relativismo è l’eresia del momento perché considera allo stesso modo il bene e il male, equipara la famiglia ad altre forme di unioni, annulla il genere sessuale, propone modelli di relazione instabili, pubblicizza un abuso dei mezzi di comunicazione che portano a vivere un mondo virtuale, propone la liberalizzazione delle armi e delle sostanze stupefacenti. L’eresia dei nostri tempi si chiama apostasia, che rifiuta di credere all’esistenza di un Dio creatore e salvatore, decidendo di appoggiarsi a filosofie, culture ed ideologie create dall’uomo.

Martino è stato un esempio di virtù cristiana, perché ha chiesto a Dio la forza di combattere contro i mali del suo tempo. La memoria di questa grande santo della Chiesa dei primi secoli diventa un incoraggiamento a non lasciarsi vincere dal male, ma di affrontare il male con la forza dell’amore, dell’umiltà e della pazienza, le nobili virtù capaci di consolare e confortare i cuori afflitti di un’umanità ferita dall’orgoglio, dalla presunzione e dalla solitudine.