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Papa: “Tutti bravi a riconoscere i ‘molesti’, meno a capire che lo siamo anche noi”

Zenit di Salvatore Cernuzio

Persone “moleste”, nella vita di ognuno, non mancano mai. “Succede, a volte, che le persone fastidiose sono quelle più vicine a noi: tra i parenti c’è sempre qualcuno; sul posto di lavoro non mancano; e neppure nel tempo libero ne siamo esenti”.

A loro il Papa dedica la sua catechesi dell’Udienza generale di ieri, ricordando che Gesù Cristo inserisce il “sopportare pazientemente le persone moleste” tra le sette opere di misericordia spirituale. Un’opera che “tutti conosciamo molto bene, ma che forse non mettiamo in pratica come dovremmo”, osserva il Pontefice.

Anzi, afferma, “siamo tutti molto bravi nell’identificare una presenza che può dare fastidio: succede quando incontriamo qualcuno per la strada, o quando riceviamo una telefonata… Subito pensiamo: ‘Per quanto tempo dovrò sentire le lamentele, le chiacchiere, le richieste o le vanterie di questa persona?’”. 

Come comportarsi allora? Consideriamo, aggiunge il Papa a braccio, che “anche noi tante volte siamo molesti agli altri, anche noi”. La domanda da porsi è, pertanto, un’altra: “Facciamo mai l’esame di coscienza per vedere se anche noi, a volte, possiamo risultare molesti agli altri?”. “È facile puntare il dito contro i difetti e le mancanze altrui, ma dovremmo imparare a metterci nei panni degli altri”.

Francesco ricorda quindi come tutta la Bibbia sia costellata da personaggi “molesti”, a cominciare dal popolo di Israele che nel libro dell’Esodo “risulta davvero insopportabile”: “Prima piange perché è schiavo in Egitto, e Dio lo libera; poi, nel deserto, si lamenta perché non c’è da mangiare, e Dio manda le quaglie e la manna, ma nonostante questo le lamentele non cessano”.

E Mosè che faceva da “mediatore” tra Dio e il popolo, “anche lui qualche volta sarà risultato molesto per il Signore”. “Ma Dio ha avuto pazienza e così ha insegnato a Mosè e al popolo anche questa dimensione essenziale della fede”. 

Allo stesso modo Gesù, sottolinea il Santo Padre, “quanta pazienza ha dovuto avere nei tre anni della sua vita pubblica!”. Un caso su tutti: la madre di Giacomo e Giovanni che, mentre era in cammino con i discepoli, lo ferma per chiedergli: “Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno”. “La mamma faceva la lobby per i suoi figli”, commenta a braccio Bergoglio.

Tuttavia, anche da quella situazione, il Messia prende spunto per dare un insegnamento fondamentale: “Il suo non è un regno di potere e gloria come quelli terreni, ma di servizio e donazione agli altri”.

“Gesù – spiega Francesco – insegna ad andare sempre all’essenziale e a guardare più lontano per assumere con responsabilità la propria missione”. Il suo atteggiamento è un incoraggiamento “al grande impegno” di tutte quelle persone che aiutano gli altri “a crescere nella fede e nella vita”. Ad esempio i catechisti, “tra i quali ci sono tante mamme e tante religiose” – osserva il Pontefice – “che dedicano tempo per insegnare ai ragazzi gli elementi basilari della fede”. “Quanta fatica, soprattutto quando i ragazzi preferirebbero giocare piuttosto che ascoltare il catechismo!”.

“Accompagnare nella ricerca dell’essenziale è bello e importante, perché ci fa condividere la gioia di gustare il senso della vita”, afferma il Papa. “Spesso ci capita di incontrare persone che si soffermano su cose superficiali, effimere e banali; a volte perché non hanno incontrato qualcuno che le stimolasse a cercare qualcos’altro, ad apprezzare i veri tesori”. Invece “insegnare a guardare all’essenziale è un aiuto determinante”, specialmente in un tempo come il nostro “che sembra aver perso l’orientamento e inseguire soddisfazioni di corto respiro”.

“Insegnare a scoprire che cosa il Signore vuole da noi e come possiamo corrispondervi significa mettere sulla strada per crescere nella propria vocazione, la strada della vera gioia”, ribadisce il Santo Padre. Soprattutto è un modo “per evitare di cadere nell’invidia, nell’ambizione e nell’adulazione. Tentazioni che sono sempre in agguato anche tra noi cristiani”.

“L’esigenza di consigliare, ammonire e insegnare non ci deve far sentire superiori agli altri, ma ci obbliga anzitutto a rientrare in noi stessi per verificare se siamo coerenti con quanto chiediamo agli altri”, raccomanda Francesco.

E conclude con il celebre monito di Cristo: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”. 

Redazione: