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DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di domenica 20 novembre.
Non è semplice festeggiare la solennità che la Chiesa ci propone questa domenica: Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo.
Non è semplice perché, umanamente parlando, non si può far festa e inneggiare ad un re che ha come trono una croce, pensare ad un re crocifisso e che fa, proprio di quella croce, uno strumento di esaltazione e di salvezza universale.
Gesù è sulla croce, leggiamo nel Vangelo di Luca; attorno a Lui «il popolo stava a vedere; i capi invece [lo] deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: “Se tu sei il re dei giudei, salva te stesso”». E, «uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava…».
Questo è il nostro Dio: un Dio sconfitto, senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita di un cartello per essere identificato: «Costui è il re dei giudei».
Dov’è la gloria, la maestà, lo splendore del re? Come è mai possibile leggere nella croce non più un segno di maledizione e di ignominia ma lo strumento del trionfo di Cristo, simbolo della vittoria della vita sulla morte?
Per noi la tentazione più seducente è quella di essere attirati da una potenza che non è quella del Dio narrato da Gesù Cristo: la tentazione di un Dio che è re perché può tutto, un re che non ha bisogno di niente e di nessuno, sommo egoista bastante a se stesso, un potente da convincere e tenere buono, che non coinvolge i nostri affetti.
La potenza di Dio, invece, è potenza nella misericordia, nell’amore, nell’abbassamento, nella logica della croce, quella croce che è follia perché evento inaudito, fallimento agli occhi del mondo, ma, contemporaneamente, possibilità di giungere a quella vita piena che Dio aveva pensato per l’uomo nell’atto di crearlo.
Cristo è Re, perché sarà lui ad avere l’ultima parola sulla storia, su ogni storia! Scrive San Paolo ai Colossesi: «E’ lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel Regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati».
Dire che Cristo è Re significa non arrendersi all’evidenza della sconfitta di Dio e dell’uomo, credere che il mondo non sta precipitando nel caos e nel buio della morte ma nell’abbraccio tenerissimo del Padre: «Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose».
«Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?», dice uno dei due malfattori crocifissi con Gesù all’altro. Dio nel nostro patire, Dio sulla stessa croce dell’uomo, Dio vicinissimo nella passione di ogni uomo. Che entra nella morte perché, là, va ogni suo figlio, perché il primo dovere di chi ama è di essere con l’amato.
Sei tu il nostro Re, Signore, un re fuori dagli schemi, ma l’unico che, come «conducevi e riconducevi Israele», così, oggi, continui ad accompagnarci nel percorso della nostra vita tornando a ripeterci «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».