Un anno di “straordinario coraggio”, che non si esaurisce nell’”oltrepassare una porta”, ma ha il sapore di una “sfida politica”. Gaetano Lettieri, professore ordinario di Storia del cristianesimo e delle chiese all’Università “Sapienza” di Roma, nominato di recente membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, traccia un “bilancio laico” dell’anno giubilare appena trascorso: “Una chiesa della carità è la frontiera più avanzata della democrazia, la porta aperta dell’umanità contrapposta ai muri dell’intolleranza, della violenza, dell’indifferenza, dell’idiozia inumana”.
La portata rivoluzionaria di questo Giubileo mi pare evidente. Si pensi alla sua stessa straordinarietà, alla sua proclamazione imprevista. Straordinario è poi il suo carattere decentrato: l’apertura simbolica della Porta Santa nell’assoluta marginalità di Bangui, chiamata ad essere il centro della chiesa universale, rivela come, nella logica eversiva della carità, l’escluso, l’ultimo, il marginale, il povero sia il centro irradiante del mistero salvifico della fede.
All’apertura della Porta Santa della basilica di S. Pietro c’erano due papi, uno regnante e uno emerito, e tutto è cominciato con un abbraccio fraterno tra di loro, a 50 anni esatti dalla chiusura del Concilio Vaticano II. Novità nella “continuità”?
La portata simbolica di quell’abbraccio mi pare sia nella logica della deposizione rivelata come segreto dello stesso ministero papale, in piena continuità con il Concilio Vaticano II. Certo, novità nella continuità. Ricordo che in una lettera del 1976 papa Paolo VI scriveva a monsignor Lefebvre: “Per certi aspetti, il Concilio Vaticano II è stato persino più importante del Concilio di Nicea”. L’apertura misericordiosa al mondo rivela la profondità dello stesso mistero trinitario. Così, il potere di chi guida la Chiesa si compie nella rivelazione della logica fragile e potentissima, difficile e liberante del Dono, che è lo Spirito, la persona trinitaria nella quale Padre e Figlio “si abbracciano”.
L’apertura di una Porta Santa della Carità a Roma, le udienze giubilari del sabato, i “venerdì della misericordia”: cosa aggiungono queste “prime volte” di Francesco al panorama tradizionale degli anni giubilari?
Rivelano che la misericordia è ‘incontenibile’, che il tempo non basta, che le occasioni di accoglienza e di incontro non possono che essere moltiplicate.
La carità, la misericordia è un’emorragia. E cos’è l’eucarestia se non la presenza incontenibile del donarsi?
Quello che si è appena concluso, così come l’intero pontificato, è un Giubileo fatto non solo di parole, ma anche di gesti e di immagini: quale sono state, e perché, a suo avviso, le “istantanee” più significative?
Oltre all’apertura della Porta Santa a Bangui, in una chiesa semplice, umilissima, per me rimarrà incancellabile la visita di papa Francesco a Lesbo il 16 aprile, l’incontro ecumenico con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo e l’arcivescovo di Atene Ieronymos II: l’unico autentico “luogo” della chiesa della misericordia è tra i migranti, i respinti, i confinati, gli affogati nel “mare nostro”, tra coloro che l’Europa non vuole accogliere o pretende di accogliere “con il contagocce”. Un mare e il contagocce… Quel gesto di esposizione radicale è un’altissima sfida morale e politica a un’Europa sazia, indifferente, vile, troppo spesso prigioniera dell’amor sui, la cui umanità sta soffocando nella preoccupazione quasi patologica di sicurezza e di benessere materiale o, peggio ancora, del tutto superfluo.
L’Europa dovrebbe ricordare che l’ospitalità precede la proprietà, in quanto ciascuno di noi è se stesso soltanto in quanto chiamato all’essere, accolto, nutrito, visitato dall’altro.
Gli ultimi due eventi giubilari – il Giubileo dei carcerati e quello delle persone socialmente escluse – sono stati anche un appello, per così dire, “politico” alla misericordia come “inclusione”, per spalancare le braccia ai tanti “Lazzari” che in tutto il mondo sono fuori delle nostre case…
“Il papa venuto dalla fine del mondo” non poteva non indicare negli esclusi e negli imprigionati il luogo nel quale Gesù è presente: la misericordia, quella misericordia che il pensiero classico guardava con sospetto perché indecorosa testimonianza di debolezza e miseria, è sempre fuori luogo.
Il Papa, nei suoi atti apparentemente eversivi, ha la forza di essere elementare, evangelicamente “fondamentalista”: il cristianesimo è tutto qui, come ribadiva nel 1524 Erasmo da Rotterdam nel De immensa Dei misericordia.
Il miserabile “Lazzaro” è Gesù stesso: se il cristiano non lo accoglie, misconosce Gesù; se lo accoglie, vive di Gesù, così come vive di Gesù il non cristiano, il laico o l’ateo che si apre al prossimo.
Al di là dei numeri, da cosa si può misurare l’impatto del Giubileo sul “popolo di Dio”, ma anche sui cosiddetti “lontani”? E quale immagine di Chiesa delinea per il futuro?
Un’immagine di straordinario coraggio, di esposizione radicale all’altro che viene: esposizione che è rischio e salvezza, persino pericolo di morte, eppure unica autentica possibilità di resurrezione e vita spirituale. Questo coraggio di continuare a testimoniare fino in fondo Gesù non si esaurisce nel rito, altrimenti superstizioso, di oltrepassare “una volta” una porta, ma si realizza nella quotidiana capacità di essere aperti alla visita dell’altro, che è lo stesso regno di Dio che viene.
La testimonianza religiosa diviene, allora, esempio di radicale autenticità esistenziale e ineludibile sfida politica: una chiesa della carità è la frontiera più avanzata della democrazia, la porta aperta dell’umanità contrapposta ai muri dell’intolleranza, della violenza, dell’indifferenza, dell’idiozia inumana.