Per primi i vescovi di Francia. Ora anche i vescovi svizzeri. Piccoli segni, forse ancora troppo timidi, di una Chiesa in Europa che sta dimostrando di voler strappare il velo dell’omertà e uscire allo scoperto. Accogliendo un invito esplicito di Papa Francesco, i vescovi francesi ed elvetici hanno deciso di far coincidere le loro assemblee plenarie per chiedere pubblicamente perdono alle vittime degli abusi sessuali e di chiederlo a nome di coloro che lo hanno commesso in ambito ecclesiale, peggio ancora in un rapporto pastorale di totale fiducia tra vittima e carnefice.
I casi di pedofilia quando emergono fanno un grandissimo rumore.
È successo in Francia, travolgendo quest’anno con perquisizioni e interrogatori durati anche oltre 10 ore, vescovi coinvolti, anche per casi accaduti molti anni fa di cui pur non avendone direttamente responsabilità, ne sono stati chiamati a rispondere davanti alla giustizia. Per non parlare di paesi come Irlanda e Inghilterra. E più nel passato le autorità competenti hanno tentato di coprire lo “scandalo”, più le Chiese si sono ritrovate oggi infangate, odiate, persino temute. C’è voluto del tempo per affrontare lo choc e lo smarrimento ma alla fine – grazie anche a Benedetto XVI che per primo ha detto basta – sembra prevalere, timidamente ma sempre più capillarmente, la via della verità, dell’umile riconoscimento del male commesso, della giustizia.
E così in Francia ai primi di novembre nel santuario di Lourdes i vescovi hanno pregato e digiunato per le vittime degli abusi. A telecamere spente, in un clima di profondo silenzio e autentico pentimento hanno chiesto perdono per tutte le volte che le autorità della Chiesa hanno chiuso le porte. Per tutte le volte che la Chiesa ha voluto “salvare la rispettabilità della sua immagine”, preferendo l’omertà alla giustizia. “Per il nostro silenzio e la nostra passività”.
In Svizzera i vescovi si uniranno in preghiera e nell’umile richiesta di perdono lunedì 5 dicembre nella Basilica di Valère a Sion, anche qui alla vigilia della loro assemblea ordinaria. Ci saranno anche i superiori maggiori delle Congregazioni religiose e una delegazione delle vittime di abuso. Si pregherà perché il Signore “le aiuti a guarire dalle ferite” e sostenga ogni sforzo volto ad allontanare questa grave colpa da tutte le strutture e i comportamenti della Chiesa”.
Nei rapporti stilati in lingua inglese, le vittime di abuso sessuale vengono indicate con il termine “survivors”, sopravvissuti. La violenza subita logora nel profondo la persona colpita portandola spesso a derive psicologiche da cui è difficilissimo liberarsi. I loro racconti – soffocati, troppo spesso inespressi – sono strade buie costellate di dolore, vergogna, dipendenza, depressione che conducono talvolta addirittura anche il suicidio.
Il perdono? Non libera dalla gabbia in cui le vittime sono scivolate. Non allevia il loro dolore. Non cancella la memoria. Ma apre uno spiraglio. Quello di essere ascoltati, creduti, riconosciuti. Quello di far luce nel passato per far emergere nella verità e nella giustizia la colpa e il carnefice.
È un “cammino lungo” che richiede tempo, discrezione, vie assolutamente preferenziali. E così hanno fatto le Chiese di Francia, Belgio, Irlanda, Inghilterra. Attivando un sistema ramificato e coordinato di ascolto, denuncia e giustizia fatto di commissioni multi-disciplinari, cellule territoriali di ascolto, siti web e indirizzi mail dedicati. Cento le testimonianze di abusi arrivate all’indirizzo di posta elettronica aperto dalla Chiesa di Francia. I vescovi svizzeri a Sion presenteranno il loro bilancio. E così hanno sempre fatto i vescovi belgi e quelli irlandesi. Sì, i numeri sono stratosferici. L’entità del fenomeno è più grande di quanto si possa immaginare. La richiesta di perdono? E’ solo l’inizio di un percorso serio che punta alla verità, altrimenti è pura retorica. Ma è pur sempre un inizio. Che vale la pena e il coraggio di intraprendere.