L’America sotto shock che ha scoperto di avere un presidente diverso da quello che raccontavano in tv, è lo stesso Paese che ha inventato e brevettato il sistema di comunicazione che ha permesso a Trump di sbaragliare la Clinton. Mark Zuckerberg, da sempre un grande e convinto sostenitore dei Democratici, in questi giorni si sta sgolando a ripetere che Facebook non ha avuto un ruolo nell’elezione di Trump. Mente, sapendo di mentire. Il direttore della campagna di comunicazione di Trump, Brad Parscale, dice infatti esattamente il contrario. Facebook, spiega, ha contribuito in modo massiccio alla gigantesca raccolta di fondi per la campagna elettorale:
una cifra monstre di 250 milioni di dollari, tutti raccolti grazie alla collaborazione dei milioni di americani che ogni giorno smanettano sui loro account Facebook.
La parola d’ordine di Trump è “disintermediazione”, un’idea di comunicazione che fa tremare le fondamenta stesse del sistema giornalistico e informativo degli Usa.
Insieme con Facebook, infatti, il candidato eletto ha usato e continua ad usare il sistema diretto e veloce dei 140 caratteri di Twitter.
Comunica direttamente con decine di milioni di americani, grazie a Facebook e a Twitter. Trump ha speso più di 90 milioni di dollari in comunicazione.“La maggior parte di questo denaro è stato speso sui social”, spiega Parscale. “Facebook e Twitter sono stati il motivo per cui abbiamo vinto”, dice: “Twitter ha funzionato per la visibilità del signor Trump. E Facebook per la raccolta fondi”. Sulla scia del risultato sbalorditivo di Trump, “gli analisti dei media hanno lavorato febbrilmente per capire come i social media possano aver alterato il risultato di questa elezione”, scrive Issie Lapowsky sulla rivista “Wired”: “Loro – e noi – hanno puntato il dito contro la proliferazione di notizie false sul web come se fossero stati i mattoni della vittoria di Trump. Ma la risposta può essere molto più semplice. Facebook è stato molto influente nelle elezioni presidenziali, in gran parte perché la campagna di Trump ha abbracciato Facebook come canale pubblicitario chiave in un modo che nessun campagna presidenziale aveva fatto fino ad ora, neanche la Clinton”. Anche dallo staff democratico arrivano le prime ammissioni.
“Penso che la campagna di Trump sia stata fatta molto bene”, dice Andrew Bleeker, presidente di “Bully Pulpit Interactive”, una società che ha supportato gli sforzi di marketing digitale di Hillary Clinton. “Hanno speso sul digitale una cifra più grande della nostra”, spiega. Durante la campagna elettorale più strana e dura che la storia americana abbia mai avuto, sono girate molte storie sulla differenza di budget per la comunicazione messi in campo dai due candidati. La verità, anche in questo caso, è molto semplice.La Clinton ha speso circa 200 milioni di dollari in comunicazione televisiva tradizionale. Trump ha speso meno della metà ma i suoi soldi sono andati in grandissima parte sul web.“Il digitale è stato usato da Trump come prima scelta e non, come è stato fatto fino ad ora, come una sorta di avanzi del budget”, spiega Matt Lira, uno stratega digitale repubblicano che è anche consulente di Kevin McCarthy. La differenza di Facebook, dice Gary Coby, direttore della pubblicità presso il Comitato nazionale repubblicano, che ha lavorato sulla campagna di Trump, sta tutta nella interazione con il committente.Le reazioni, i like o, al contrario, le reazioni negative vengono registrate in tempo reale e producono un aggiustamento continuo della campagna di comunicazione di un candidato.Coby e i suoi hanno sfruttato in modo intensivo e inedito le capacità di interazione offerte da Facebook. Ogni giorno di campagna elettorale producevano 40mila o anche 50mila varianti dei messaggi di propaganda. I feedback della rete, studiati con maniacalità compulsiva dallo staff di Coby, hanno permesso di intercettare i veri sentimenti nascosti dell’elettorato americano. Al di là di ogni possibile considerazione politica o ideale, la campagna elettorale di Trump ha cambiato i parametri stessi della comunicazione politica. D’ora in avanti sarà difficile tornare indietro alle vecchie tribune elettorali.