Zenit – di Federico Cenci
EGITTO – Mahmoud Shafiq Mohamed Mustafa. È questo il nome del 22enne che con il suo gesto tragico e criminale domenica scorsa ha gettato l’Egitto in un vortice di sgomento e paura. Il giovane si è fatto esplodere nella cappella di San Pietro e Paolo, adiacente alla Cattedrale ortodossa di San Marco, nella zona occidentale de Il Cairo.
Il bilancio è di oltre 25 morti, in gran parte donne e bambini, e di circa 50 feriti. Terribili i toni con cui l’Isis nelle scorse ore ha rivendicato l’attentato: i terroristi islamici dichiarano che la “guerra contro l’apostasia continuerà e che lo Stato del Califfato sarà insediato”.
Un affronto nei confronti dei cristiani d’Egitto (circa il 10% degli oltre 92milioni di abitanti) e del Governo del generale Abdel Fattah al-Sisi. Quello di domenica scorsa è il più grave attentato alla comunità cristiana dal 2013, anno in cui un golpe militare ha deposto il presidente Mohamed Morsi, dei Fratelli Musulmani.
L’attacco segue al raffreddamento dei rapporti tra l’Egitto di al-Sisi e l’Arabia Saudita, feudo dell’Islam radicale wahabita, culminato con un taglio delle esportazioni di greggio da Ryad all’altra sponda del Mar Rosso. In questo intricato tassello della geopolitica mediorientale, che faticosamente resiste all’offensiva dell’Islam radicale, i cristiani “si stringono” tra loro, come riferisce nell’intervista che segue mons. Kyrillos William Samaan, vescovo cattolico di Assiut, nel cuore del Paese.
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Eccellenza, qual è il clima che si respira nella comunità cristiana di Assiut dopo questo atroce attentato?
La gente è anzitutto rattristata e preoccupata. Non si può rimanere indifferenti dinanzi alla morte brutale di tante persone, le quali non hanno commesso nulla per meritare tutto questo, stavano soltanto pregando. Allo stesso tempo, però, la comunità cristiana considera queste vittime come dei martiri, i quali si sono meritati così la corona della vita eterna.
Questo attentato, insieme ad altri recenti che hanno colpito le forze dell’ordine egiziane, potrebbero essere una vendetta di gruppi estremisti islamici nei confronti del Governo per la legge che semplifica la costruzione di chiese cristiane?
È ragionevole pensarlo. I terroristi continuano a criticare il presidente al-Sisi e tutto il Governo di essere troppo benevoli nei confronti dei cristiani. Gli islamici più fanatici non ammettono il nostro diritto di costruire chiese su una terra che considerano patrimonio esclusivo dell’Islam. Il loro obiettivo ultimo è eliminare tutti i cristiani e proclamare un Califfato islamico.
I cristiani d’Egitto si sentono protetti dal Governo di al-Sisi o vorrebbero maggiori garanzie per la loro incolumità?
L’impegno profuso da al-Sisi a favore dei cristiani e dunque della convivenza inter-religiosa in Egitto è sotto gli occhi di tutti. Intorno a lui, tuttavia, c’è gente con una mentalità intrisa di Islam politico. Ancora tanto è il lavoro da fare. Ad esempio in alcuni libri di testo per le scuole i cristiani vengono considerati come infedeli da combattere e il cristianesimo è definito falsa religione. Il simbolo di questo clima sono i salafiti e i wahabiti che rifiutano di salutare persone che conoscono perché cristiane oppure i predicatori che invadono le tv, i quali insultano la religione cristiana e non vengono richiamati per questa diffusione di odio.
Temete una recrudescenza del terrorismo islamico anche ad Assiut, dove forte è la presenza wahabita?
Tutto è possibile, pero noi non temiamo niente. Abbiamo tanta fiducia nella Provvidenza Divina che ci ha sempre protetti. Ad Assiut da quando mi trovo in servizio episcopale, cioè da 26 anni, sono capitati pochissimi episodi di violenza, non paragonabili come gravità agli attentati avvenuti in altre zone del Paese.
A proposito di wahabismo, la Conferenza di Grozny che lo esclude dalla comunità sunnita potrebbe aver esasperato gli animi dei terroristi?
Sicuramente.
A cavallo tra ottobre e novembre una parte dell’Egitto è stata colpita da una violenta alluvione. Qual è la situazione ad Assiut?
Ringraziando il Signore questa volta siamo stati risparmiati. Le alluvioni non hanno causato granché nella provincia di Assiut. I danni sono stati lievi, nulla a che vedere con quelle avvenute nel 1994, quando villaggi interi sono stati evacuati.
Come state vivendo l’attesa del Natale?
La stiamo vivendo nella preghiera, celebrando funzioni particolari di veglie di canti e lodi che durano ore e ore e in alcuni casi tutta la notte. La partecipazione popolare è molto forte. In questo momento abbiamo bisogno di stringerci tra noi.