Un Messaggio particolare quello che quest’anno ha rivolto il Santo Padre in occasione della XXV Giornata mondiale del malato, sul tema: “Stupore per quanto Dio compie: ‘Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente…’ (Lc 1,49)”. Come la prima giornata, infatti, anche questa sarà celebrata a Lourdes, luogo di grazia e di speranza per tutti i malati; per questo Papa Francesco si è posto “fin d’ora spiritualmente presso la Grotta di Massabielle, dinanzi all’effige della Vergine Immacolata”.
Considerando il rispetto con cui la Vergine interloquiva con santa Bernadette, il Papa “ricorda che ogni malato è e rimane sempre un essere umano, e come tale va trattato. Gli infermi, come i portatori di disabilità anche gravissime, hanno la loro inalienabile dignità e la loro missione nella vita e non diventano mai dei meri oggetti, anche se a volte possono sembrare solo passivi, ma in realtà non è mai così”. Ritengo che questo passo sia centrale nel messaggio di quest’anno, anche in considerazione del momento storico-culturale che stiamo vivendo: una seria crisi antropologica che nega il primato dell’uomo e che non di rado sacrifica sull’altare del profitto proprio le persone più fragili. Come dire,
quando si tratta di malati “bilanci e scomodità” non possono essere gli unici parametri di misura e il corpo di un uomo steso nel letto, come Cristo steso sulla croce, non modifica la sua inalienabile dignità!
Sono indicazioni preziose, queste, anche per il nostro Paese che si sta confrontando sul tema del fine vita. Facciamo nostra la preghiera del Papa all’Immacolata alla quale chiede “la grazia di saperci sempre relazionare al malato come ad una persona che, certamente, ha bisogno di aiuto, a volta anche per le cose più elementari, ma che porta in sé il suo dono da condividere con gli altri”.
Qual è questo dono che il malato può condividere anche se immobile in un letto? Scriveva Dietrich Bonhoffer, guardando le macerie prodotte dalla seconda guerra mondiale: “Ogni comunità cristiana deve sapere che non solo i deboli hanno bisogno dei forti, ma che questi ultimi non possono essere veramente uomini senza i primi”.
Prendersi cura della fragilità, soprattutto quando è estrema, ha la potenzialità di far diventare la società meno crudele e disumana. E quando, poi, la fede illumina la vita, allora riconoscere nel volto del malato quello di Cristo stesso che salva il mondo, diventa addirittura un’esperienza mistica capace di portare, chi ha l’umiltà di farlo, all’unione con Dio.
Scrive ancora il Papa ricordando il lavoro prezioso degli operatori sanitari: “La solidarietà di Cristo, Figlio di Dio nato da Maria, è l’espressione dell’onnipotenza misericordiosa di Dio che si manifesta nella nostra vita – soprattutto quando è fragile, ferita, umiliata, emarginata, sofferente – infondendo in essa la forza della speranza che ci fa rialzare e ci sostiene”. Solidarietà dice vicinanza, presenza, dice accompagnamento terapeutico e assistenziale: un invito a
considerare il malato non come un peso da sopportare, ma un compagno di viaggio da sostenere
perché anche nella drammaticità della sua esistenza, per la vicinanza dei fratelli possa intuire che la sua vita è sempre “cosa molto buona” (Gen 1,31). Ha ragione il Papa a richiamare le sfide presenti in ambito sanitario e tecnologico. Il moltiplicarsi della tecnica applicata alla cura è una risorsa a doppia valenza: se da un lato è utile e necessaria, dall’altra può allontanare gli operatori dai malati e magari, tutelati da procedure a volte ambigue, rischia di diventare ostacolo per un rapporto operatore-paziente che accompagni all’atto tecnico anche la relazione di cura. L’auspicio del Santo Padre è che “in occasione della Giornata Mondiale del Malato possiamo trovare nuovo slancio per contribuire alla diffusione di una cultura rispettosa della vita, della salute e dell’ambiente; un rinnovato impulso a lottare per il rispetto dell’integralità e della dignità delle persone, anche attraverso un corretto approccio alle questioni bioetiche, alla tutela dei più deboli e alla cura dell’ambiente”.
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