Zenit di Luca Marcolivio
Il Natale non è una celebrazione di un “anniversario” ma di un “mistero” che va compreso. Il tema è stato sviluppato da padre Raniero Cantalamessa, nella quarta predica d’Avvento, traendo spunto dall’articolo del Credo: “Incarnato per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine”.
Si tratta di un “mistero storico” che, come tutti i “fatti della salvezza”, si prolunga “a livello sacramentale nella Chiesa e a livello morale nella singola anima credente”. E Maria, in quanto “Vergine Madre che genera il Cristo per opera dello Spirito Santo, appare il ‘tipo’, o l’esemplare perfetto, della Chiesa e dell’anima credente”.
Sant’Isacco della Stella riassume il pensiero dei Padri con queste parole: “Maria e la Chiesa sono una madre e più madri; una vergine e più vergini. L’una e l’altra madre, l’una e l’altra vergine… Per questo, nelle Scritture divinamente ispirate, ciò che si dice in modo universale della Vergine Madre Chiesa, lo si intende in modo singolare della Vergine Madre Maria… Infine, ogni anima fedele, sposa del Verbo di Dio, madre figlia e sorella di Cristo, viene ritenuta anch’essa, a suo modo, vergine e feconda”. Questa visione patristica è stata ripresa nella Lumen Gentium (nn° 63-64-65).
Quanto al ruolo dello Spirito Santo, Sant’Ambrogio scrive: “Non possiamo quindi dubitare che sia creatore quello Spirito che sappiamo essere Fautore dell’incarnazione del Signore”. Egli ha creato “dal nulla”, in “assenza di spiegazioni e di cause naturali”, ha rimarcato padre Cantalamessa.
Per Maria, l’incarnazione del Messia nel suo grembo “fu la sua Pentecoste”, il suo incontro con la “sobria ebbrezza dello Spirito”. Per grazia divina, Maria diventa “la più alta delle creature”: mentre però Lucifero, “preso dalla vertigine della propria altezza, era precipitato”, Maria “rimane umile, modesta, come se nulla fosse avvenuto nella sua vita per cui dovesse avanzare delle pretese”.
Altro aspetto preso in esame da padre Cantalamessa è la “maternità di Maria” che, negli anni della lotta contro l’eresia gnostica e docetista, viene vista quasi solo come “maternità fisica”. Sarà poi Origene, nel III secolo, con il titolo di Theotókos, “a condurre la Chiesa alla scoperta di una maternità divina più profonda, che potremmo chiamare maternità metafisica, in quanto attinente alla persona del Verbo”.
La maternità di Maria viene quindi vista in relazione a Dio, tuttavia, con Cirillo Alessandrino, emerge una nuova controversia, non potendo egli ammettere che “una donna, fosse pure la Madre di Gesù, potesse avere avuto una fede maggiore di quella degli apostoli”. È un assunto frutto della generale disistima per la donna diffusa nel mondo antico.
Per Sant’Agostino la maternità di Maria è “nella fede” e la cosa più grande in lei è “essere stata discepola di Cristo”, più che essergli stata Madre; affermazione sostenuta dalle parole di Gesù, in risposta alla donna che proclamava “beata” la donna che lo aveva portato al seno e allattato: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,27-28).
Alla maternità fisica e a quella metafisica, si aggiunge dunque la “maternità spirituale, o di fede, che fa di Maria la prima e più docile discepola di Cristo”.
La seconda parte della predica si sofferma sul mistero di Cristo che nasce “in noi”, oltre che “per noi”. “Il tema della nascita di Cristo nell’anima riposa soprattutto sulla dottrina del corpo mistico”, ha spiegato Cantalamessa.
“Lo Spirito Santo ci invita, dunque, a “ritornare al cuore”, per celebrare in esso un Natale più intimo e più vero, che renda “vero” anche il Natale che celebriamo all’esterno, nei riti e nelle tradizioni”, ha sottolineato il predicatore della Casa Pontificia.
“Gesù stesso desidera nascere nel nostro cuore – ha proseguito -. È così che lo dobbiamo pensare nella fede: come se, in questi ultimi giorni di Avvento, egli passasse in mezzo a noi e bussasse di porta in porta, come quella notte a Betlemme, in cerca di un cuore in cui nascere spiritualmente”.
Secondo San Bonaventura, l’anima concepisce Gesù in se stessa, quando si distacca dalle sue “vecchie abitudini e difetti”, viene “fecondata spiritualmente dalla grazia dello Spirito Santo e concepisce il proposito di una vita nuova”.
Se questo “proposito di vita nuova” non si traduce in “qualcosa di concreto”, si rischia un “aborto spirituale, uno dei numerosi rinvii di cui è punteggiata la vita e una delle le ragioni principali per cui così pochi si fanno santi”.
L’uomo che vuole cambiare vita andrà poi incontro a due tipi di tentazioni, la prima delle quali nasce da chi dice: “non ce la farai mai, ti mancheranno le forze, ne andrà di mezzo la tua salute; queste cose non si addicono al tuo stato, comprometti il tuo buon nome e la dignità della tua carica…”.
Quando questi ostacoli sono superati, interverranno altre ‘voci’ degli “uomini carnali”, che però si presentano come “persone pie religiose”, pur non credendo “veramente nella potenza di Dio”. Costoro diranno: “sarai ritenuto presto un santo, un uomo spirituale, e poiché tu sai benissimo di non esserlo, finirai per ingannare la gente ed essere un ipocrita, attirando su di te l’ira di Dio che scruta i cuori”.
A tutte queste tentazioni, ha concluso Cantalamessa, “bisogna rispondere con fede” e “quasi adirandoci con noi stessi, esclamare, come Agostino alla vigilia della sua conversione: “Se questi e queste, perché non anch’io?”.
0 commenti