Riportiamo di seguito l’omelia di monsignor Carlo Bresciani, vescovo di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, pronunciata durante la messa della notte di Natale nella Chiesa di San Benedetto Martire.
“Siamo nella veglia della notte santa. La notte è il tempo dell’oscurità; tanto più essa è fitta, tanto più non si riesce a discernere nulla: i colori della vita svaniscono nel nulla. E quando non si vede nulla non si riesce a camminare, si può cadere in tutti i possibili pericoli, si è presi facilmente dalla paura o dall’angoscia. Non a caso la notte è simbolo di paura e si cerca di rischiararla come si può. Nell’oscurità trionfa anche il male, il quale cerca sempre di nascondersi agli occhi che potrebbero criticarlo od ostacolarlo.
La notte però è anche il simbolo della cecità dello spirito umano: quando non riusciamo a vedere che cosa fare o quale decisione prendere diciamo che siamo nell’oscurità, ci manca la luce. Quando siamo in crisi, diciamo che vediamo nero davanti a noi.
In altre parole, la notte evoca tutti i possibili mali, fino a quello estremo della morte: infatti nell’oscurità ogni vita si spegne, anche le piante muoiono non riuscendo ad assimilare i nutrimenti che pure la terra continua ad offrire loro.
La notte, in questa sera di veglia, è anche il simbolo di un mondo senza la luce di Dio, un mondo che cammina nelle tenebre, che manca della luce che possa orientare con sicurezza il suo cammino. Quando nella vita di un essere umano manca la luce di Dio, di fatto la sua vita è nelle tenebre, anche se crede di vedere e di essere illuminato. Anche nella vita del credente, talora Dio sembra nascondersi, e allora si esperimenta la notte dello spirito.
Noi abbiamo bisogno non soltanto della luce del sole per i nostri occhi, ma anche della luce di Dio per gli occhi del nostro spirito, per la pienezza della nostra vita.
Nella veglia che abbiamo appena celebrato, noi abbiamo riconosciuto questo nostro bisogno di luce per la nostra vita e l’abbiamo implorata, sapendo che solo Dio ce la può dare. “E il popolo che camminava nelle tenebre, vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”, ci ha detto il profeta Isaia nella prima lettura.
Carissimi, la luce della vita è quella che viene da quella piccola grotta di Betlemme in cui il Signore della vita si è fatto uomo e ha portato la luce dell’amore di Dio perché possa rianimare la nostra vita e quella del mondo intero. Il mondo, senza amore, infatti è nell’oscurità che porta solo morte e divisione.
La luce che viene da quella piccola capanna, in cui il Figlio di Dio è nato al mondo, non abbaglia nessuno dal punto di vista fisico, ma è una luce che nessuno può spegnare, a cui tutti possono attingere e che tocca il cuore. Proprio come l’amore che con la sua delicatezza non fa rumore, ma ridà vita alle ossa rinsecchite di tante esistenze che, dopo aver rifiutato Dio, vagano nel buio alla ricerca di un motivo valido per vivere.
Contempliamo in questa notte il tenero amore di Maria che accoglie il neonato Gesù tra le sue braccia e lo scalda al suo petto, ma, insieme all’amore di Maria, contempliamo quello di Giuseppe che sta con discrezione al suo fianco provvedendo quanto le è necessario in un frangente così delicato. Egli sta un po’ più nascosto, perché non spetta all’essere umano oscurare l’opera di Dio, ma è presente, perché spetta all’essere umano collaborare a che si compia l’opera di Dio in noi.
Solo in questo quadro intenso di vero amore, Colui che è l’Amore, il Figlio di Dio che è Amore, poteva farsi carne ed essere accolto in modo adeguato. Non nella sontuosità della ricchezza di palazzi, ma nel calore di un amore autentico, per quanto semplice. Questo è il solo luogo in cui Dio si rende presente.
Maria e Giuseppe erano senza casa, pellegrini in una terra poco ospitale, non c’era posto per loro nell’albergo. Sono stati costretti a cercare rifugio in campagna e trovarono solo una grotta per ripararsi dal freddo. Eppure è qui che il Figlio di Dio nasce al mondo. L’unica ricchezza che chiede è un contesto di amore, e questo Maria e Giuseppe glielo danno con totale donazione di sé.
A questo punto possiamo chiederci: dove era la luce vera che illumina la vita? Nella grotta o nell’albergo certamente più dignitoso e più ricco di una semplice grotta?
Carissimi, questa notte santa ci indica dove anche noi possiamo trovare la luce per la nostra vita, la luce di Dio. Impariamo dall’amore di Maria e Giuseppe, impariamo ad amare Dio come loro: questo è possibile a ciascuno di noi. Non c’è bisogno di essere ricchi, c’è solo bisogno di capire che è solo l’amore donato che ci salva; è solo l’amore di Dio donato a noi, e da noi accolto con fede, che salva la vita dall’oscurità del male e delle tenebre.
Questo il Natale dice ancora oggi al mondo: non è un messaggio vecchio e sorpassato, cose per persone nostalgiche, ferme ad altri tempi. È la novità eterna della buona notizia del Vangelo e del Natale: Dio ama il mondo e solo l’amore ci salverà.
Questo dico a voi, augurandovi che questa luce entri nelle vostre case, tocchi i vostri cuori e vi dia nuovo vitale calore.
Buon Natale a tutti, in modo particolare a chi sta esperimentando momenti di oscurità o è senza casa, come i nostri fratelli colpiti dal terremoto”.
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