La contemplazione del Natale deve essere semplice. Perché la Parola si è fatta carne e, quindi, non ha bisogno di molti giri di parole per “essere portata giù, alla realtà”. Si è già abbassata.
Piuttosto dobbiamo partire dalla nostra realtà, dalla carne che ci è più vicina: ogni famiglia ha i suoi bambini più piccoli, quelli nati in questi giorni; ogni popolo ha i suoi figli, che vediamo soffrire; tanti bambini hanno bisogno di essere curati immediatamente, siano appena nati, siano su un barcone nel Mediterraneo o nel mezzo di un bombardamento ad Aleppo o Mosul.
La Parola si è fatta carne ed è nata in una mangiatoia.
Per questo, dobbiamo uscire a cercare tutte le mangiatoie di oggi. Non è complicato e non è necessario andare a cercare le mangiatoie più lontane e pericolose. Ovunque ci sono “mangiatoie”: situazioni precarie che sostengono la carne fragile dei bambini. In realtà tutte le situazioni di bambini poveri e fragili hanno bisogno di costante attenzione e cura.
E si va! Con pannolini per pulire e riscaldare, come la Vergine, prestando attenzione a non far del male al Bambino. Con mani forti per consolidare la mangiatoia, come san Giuseppe, il quale con due colpi la sistema.
Si possono portare anche doni semplici, piccoli, come quelli dei pastori. O più elaborati, e per il lungo termine, come l’incenso e l’oro dei Magi. Tutto serve!
Ma ognuno deve trovare la sua “culla”, perché ciò che la Parola che Dio ha da dirci, in questo Natale, la sentiremo solo andando ad adorare lì e non altrove.
Il Verbo si è fatto carne.
Per questo il Vangelo deve essere applicato immediatamente. Con un bambino sperimentiamo che tutto va fatto “subito”, “all’istante”: lavarlo, tenerlo in braccio, nutrirlo, vestirlo, coccolarlo…
Poi la vita stabilirà distanza tra parola e azione. In un primo momento, però, la carne richiede tutto all’istante.
E lo stesso vale per la carne di chi ha fame, per coloro che hanno freddo, per coloro che non hanno casa o paese, per chi è solo: ci si dovrebbe prendere cura della sua carne adesso. Non serve parlare di questioni che vengono prima o delle condizioni della macroeconomia. Questa è una bugia. E la prova è che la finanza opera in continuazione. Perché il denaro diventa un idolo ed è il letame del demonio? Non perché va contro Dio in astratto, ma perché va contro il Dio che si è fatto carne.
L’istantaneità del denaro che fa guadagnare milioni di euro in pochi secondi ad alcuni, mentre altri non riescono a mettere insieme un euro e mezzo per diventare poveri piuttosto che miserabili, ruba il diritto a quell’istantaneità di cui ha bisogno la nostra carne quando è a rischio.
Perché in un attimo un bambino muore, in un istante nasce una vita.
La Parola si è fatta carne.
Per questo, dobbiamo sistemare le cose della carne, non quelle dello spirito. Non si tratta di far diventare la nostra carne un po’ più spirituale, cantando un cantico di Natale o scrivendo qualche cartolina ingegnosa. Al contrario: è il nostro spirito che deve farsi carne; il nostro spirito, così abituato a “riflettere” guardandosi allo specchio, deve volgere lo sguardo verso gli altri; il nostro spirito, così attento sempre a ciò che è meglio per lui, deve abbassarsi e arrivare a pensare come diventare più carnale, mettendosi al servizio degli altri con misericordia e tenerezza.
Natale viene perché la nostra spiritualità diventi incarnata, non perché la nostra carne si spiritualizzi per una notte.
Ma perché ciò avvenga, dobbiamo uscire dalle discussioni tra carne e spirito e dobbiamo entrare nel cuore. Entrare nel nostro cuore e nel cuore degli altri, come si entra nella grotta di Betlemme; sentire il bambino nei nostri cuori e nei cuori degli altri, come appena deposto dalla Madre nella mangiatoia.
La Parola si è fatta carne prima nei cuori di Maria e di Giuseppe.
Quando si dice che Maria concepì prima nella fede, non è la sua una fede “mentale”, ma la fede del suo cuore, dove la carne e lo spirito si unificano. Un cuore di madre e di padre capisce tutto ciò.
Fuori dall’ambito del cuore, dire che “il Verbo si fece carne” risulta molto strano.
Se non mettiamo il cuore, se non andiamo al presepe con il dono del nostro cuore in mano, se non andiamo a mettere l’orecchio sul petto del bambino per sentire battere il suo cuore piccolino (così dicono che pregasse il padre di Origene, dopo il battesimo di suo figlio: mettendo il suo orecchio al petto per ascoltare Dio nel battito del cuore del suo bimbo), Natale finisce per essere una festa molto strana. Con un piatto di cibo troppo carnale e un desiderio di pace troppo spirituale.
Se mettiamo il cuore, il cibo, il regalo, il pensiero e il desiderio diventeranno Verbo fatto carne.
Come la carne del cuore!
E tutti sappiamo – possiamo sentire e gustare – che ciascuno di noi, nel suo cuore, è unico e, al tempo stesso, uguale agli altri. Uguale a ogni essere umano. Anche uguale a Gesù.
E grazie a Lui sappiamo che il nostro cuore è uguale al Cuore del nostro Padre dei Cieli. E pure al cuore del neonato che piange cercando la mamma e anche al cuore dei figli di Aleppo, che guardando come piangono le loro madri, hanno cessato di piangere.