Zenit di Mons. Vincenzo Bertolone
«Non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza».
Le parole di Leonardo Sciascia fanno compagnia in queste prime ore del 2017. Ricordano che per tutti, per i cristiani in particolare, partire, finire e morire non sono sospirati o deprecati approdi nel gorgo del nulla, ma un distacco per un altro e diverso cominciamento. Per questo è necessario prepararsi, ogni volta come prima di una nuova giornata impegnativa e importante.
Saper essere pronti, del resto, è una grande cosa. È una facoltà preziosa che implica fermezza, analisi, colpo d’occhio, decisione. Essa si rivela utile – se non indispensabile – in ogni attimo dell’esistenza come nel fondamentale passaggio da un anno all’altro. Il transito del Capodanno è il momento giusto per sognare. Il tempo ormai alle spalle è stato durissimo: tanta gente, moltissime famiglie, interi popoli hanno patito sofferenze indicibili.
Eppure non è la resa il loro approdo, ma la voglia di un mondo capace di rischiare e di lanciare il cuore oltre l’ostacolo, di andare oltre gli angusti confini dello status quo per camminare con i giovani e costruire con loro il cambiamento di cui c’è bisogno. Di tracciare sentieri di pace e giustizia, abbandonando invece quelli che conducono a guerre e violenza. È il sogno di un’umanità in cui i diritti dei poveri e i problemi reali delle masse abbiano il primo posto nell’agenda dei grandi del mondo. È il simbolo di una cultura di vita e non di morte, capace di trasmettere a tutti ed a ciascuno ragioni per vivere e sperare, rifiutando ogni logica di sopraffazione.
Nulla di nuovo: tutto già descritto, con una forza difficile da dimenticare ed ancor più da cancellare, nei presepi che – voglio pensare – illuminano le nostre case ed in particolar modo nelle facce assonnate e stanche degli umili pastori, che ai tempi in cui nacque il Messia erano considerati nomadi impuri e non ammessi al Tempio per il loro infimo ceto. Però furono prescelti per il primo incontro col Cristo a testimoniare ed annunciare la sua nascita.
È l’emblema di un futuro raccontato da Martin Luther King, con quella passione civile che gli costò la vita, ma dischiuse a disprezzati ed emarginati un diverso orizzonte: «Io sogno che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno abbassate, i luoghi impervi saranno appianati e quelli tortuosi si raddrizzeranno, e la gloria del Signore verrà rivelata, e tutti gli uomini, insieme, la vedranno. È questa la nostra speranza. Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede potremo trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza».
Lasciamo allora che il respiro dell’amore di Dio scenda su tutte le sofferenze, ma cancelliamo l’illusione che queste possano scomparire da sole come nebbia al sole. Faremo così del Capodanno quello che realmente dovrebbe essere: un concreto inizio di cose totalmente nuove. Auguri!
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