di Cristiana Dobner
VATICANO – Il mistero che ci attraversa in questo lasso di tempo detto natalizio o come vuole la mondanità che ci sta corrompendo di “feste invernali” non può lasciarci indenni.
La necessità profonda di fare festa abita la persona ma rischia anche di travolgerla. Esattamente quando il Natale, cioè la nascita di Gesù Cristo, si è banalizzata in un periodo di feste commerciali.
Chi osserva e si lascia osservare da questo mistero non può che interrogarsi, guardarsi dentro, per decidere sia da che parte schierarsi, sia quali decisioni assumersi nella propria vita.
I volti dei nostri giovani troppo spesso appaiono indecifrabili oppure segnati da scelte incomprensibili o addirittura marchiati da negatività senza ritorno.
Se entrassimo nella logica di papa Francesco potremmo essere aiutati a comprendere e agire di conseguenza: guardando il presepe incontriamo i volti di Giuseppe e di Maria. Volti giovani carichi di speranze e di aspirazioni, carichi di domande.
Se accettiamo questa sfida non possiamo che guardare al futuro, non in maniera astratta o sterile ma in maniera concreta ed efficiente.
Il Papa non demanda la risposta a una vaga società o a una certa visione di Chiesa che è solo una dicitura e non conosce consistenza di vita evangelica.
Il Papa risponde: dobbiamo assumerci il nostro debito. Parole pesanti. Debito significa che io, personalmente, debbo restituire quanto non è mio.
Debito perché la storia ci è data non per occuparla da padroni, facendo arrivare l’acqua al nostro mulino a scapito di tutti quelli che ci stanno intorno.
Dobbiamo pensarci solidali, capaci di aperture che collochino i giovani al loro posto, quello pensato dal Signore che si incarna.
Non sono giovani posteggiati, messi in una nicchia a guardare che cosa succede. Devono essere attori, protagonisti. Questo suppone che gli adulti non rimangano chiusi, immobili a costruirsi il proprio benessere e dimentichino il momento in cui erano realmente giovani e cercavano il loro posto nella società.
Realmente perché l’effimero lo hanno creato gli anziani, tutti e tutte coloro che negano la loro età e la mascherano con artifizi proprio penosi. A colpo d’occhio si intravvedono. Inoltre non è l’aspetto che rende giovani ma lo sguardo sul futuro.
Ai veri giovani noi non concediamo la presa: lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani.
Per conservarci un presente carico di ritocchi e di chirurgie estetiche abbiamo divorato il futuro dei giovani, non concedendo loro spazio vitale, respiri che, se plasmano l’oggi, hanno già delineato il domani.
In fin dei conti, l’adulto rifatto è il peggior nemico del futuro perché si sta imbalsamando in vita mentendo a se stesso.
La ripercussione di una simile mentalità, cui conseguono scelte divoranti, ha creato delle spirali di morte in vita, cui è impossibile sottrarsi:
Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società. Ci aspettiamo da loro ed esigiamo che siano fermento di futuro, ma li discriminiamo e li “condanniamo” a bussare a porte che per lo più rimangono chiuse.
Non è esagerato parlare di tragedia. Basta guardarsi intorno: chi reale giovane può contare su di un lavoro? Chi può pensare al proprio futuro con uno sguardo di certezza?
Li tacciamo di immaturità ma il ritocco questa volta dovrebbe riguardare la cornea adulta perché la miopia è allarmante. Dobbiamo riconoscere quanto è in noi e non sbagliarne l’attribuzione:
Guardare il presepe ci sfida ad aiutare i nostri giovani perché non si lascino disilludere davanti alle nostre immaturità, e stimolarli affinché siano capaci di sognare e di lottare per i loro sogni. Capaci di crescere e diventare padri e madri del nostro popolo.
Nelle nostre strade vediamo sempre più anziani, sempre più cani. Mancano i bambini. Manca il futuro.
I giovani hanno i piedi per terra: padri e madri vogliono diventarlo ma con la loro autonomia, con la loro vita comunicata.
Siamo noi a frenarli, a bloccarne le vie.
Schiavi di apparenze, di risibili ritocchi. Carenti di quella luce che emana dai volti di Maria e Giuseppe quando guardano il loro Figlio.
La Luce è venuta, siamo noi a spegnere il tasto e a guardare indietro per conservare tutto quello che abbiamo guadagnato. Come se poi non dovessimo lasciarlo, perché gli anni, anche se ritoccati, alla conclusione della parola fine, giungono.