“Abbiamo costruito esperienze religiose con troppi muri: un convento, un monastero, una parrocchia e i suoi muri e la sua autosufficienza. E per questo paghiamo un costo in solitudine e in poca efficacia missionaria”.
È il monito lanciato questa da don José Tolentino Mendonça, poeta e teologo portoghese, nel corso del convegno nazionale vocazionale “Alzati, va’ e non temere” in svolgimento a Roma. “La comunità – ha affermato rispondendo alle domande dei presenti – è una dimensione fondamentale nel maturare di una vocazione, perché la vocazione cresce e matura in rete, nel rapporto, nell’ascolto”. “Abbiamo bisogno della conferma degli altri”, ha proseguito don Tolentino Mendonça, sottolineando che “la vocazione non è un’isola, è fare parte di un arcipelago”. Per questo, è necessario “vincere l’autoreferenzialità per il rafforzamento della vita comunitaria, perché senza la comunità non siamo”. Il sacerdote ha evidenziato che “il più grande viaggio che ognuno di noi può fare è il passaggio dalla soglia” perché “la soglia è una frontiera per un’intimità che si svela”. “Questo non è immediato, non è facile”, ha riconosciuto don Tolentino Mendonça, secondo cui “varcare la soglia è icona di un viaggio che dobbiamo fare”. Il sacerdote ha invitato a “non restare in rapporto epidermici con il popolo di Dio, con le persone, ma cercare una vicinanza che sia veramente un modo per ascoltare superando apparenze, conoscenze rapide”. “Le persone non sono numeri, sono vite”, ha ammonito Tolentino Mendonça, esortando a “guardare il mondo capendo che la nostra vocazione è costruire un cammino nel diverso, esplorare altre possibilità”. “Abbiamo bisogno di osare, invece passiamo troppo tempo a fare le stesse cose”, ha concluso il sacerdote, rilevando che “abbiamo perso l’immaginazione, la fantasia, la capacità di sorprendere il mondo”.
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