Nel 2015 sono stati 65,3 milioni i migranti forzati nel mondo, di cui 21,3 milioni di rifugiati, 40,8 milioni di sfollati interni e 3,2 milioni di richiedenti asilo. In Italia, secondo i dati del Rapporto sulla protezione internazionale aggiornati a ottobre 2016, sono presenti circa 171mila persone nelle diverse strutture attive sul territorio. Una situazione rispetto alla quale “la politica italiana è a un bivio”, avverte monsignor Guerino Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes e della Commissione episcopale Cei per le migrazioni: “Il populismo fa di tutto per diffondere la cultura della non accoglienza. Ma basterebbe che ciascun comune ospitasse due immigrati e mezzo ogni mille abitanti, per cambiare completamente il contesto”.
Nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, il Papa chiede una “visione lungimirante” da parte della Comunità internazionale. Cosa sta facendo l’Italia?
L’Italia sta facendo la sua parte. È il primo Paese di frontiera in Europa ed è caratterizzato da un’immigrazione prevalentemente di passaggio. Bisogna, però, trovare una modalità di integrazione.
È chiaro che se i migranti vengono ammassati a migliaia dentro un unico centro, in condizioni spesso precarie, possono sorgere problemi come accaduto in questi giorni. Quando si hanno soltanto tre momenti attivi al giorno – colazione, pranzo, cena – e il resto del tempo trascorre senza nulla da fare, la disperazione può prendere il sopravvento.
L’accoglienza dei migranti è centrale per Francesco, eppure tanti cattolici sembra fatichino a seguirlo. Perché?
Purtroppo è un dato reale. Nel mondo cattolico talvolta non si comprende che il Papa pone l’attenzione su un aspetto peculiare dell’esperienza cristiana, che si realizza nella storia e nella contingenza. Oggi viviamo in un mondo globalizzato. Le persone si spostano. Il fenomeno delle migrazioni è una questione epocale che, però, anche i cattolici sottovalutano o rifiutano.
Ci siamo ormai adattati a una forma di vita cristiana all’insegna del benessere, pensiamo unicamente al nostro interesse.
Ci siamo ripiegati su noi stessi, l’esperienza cristiana si è andata identificando esclusivamente con la preghiera e la liturgia dimenticando la relazionalità umana. Ma il cristianesimo è relazione. L’esperienza dell’attenzione al prossimo è fondamentale, ma oggi viene messa da parte perché lo sforzo di uscire da noi stessi e di mettere in discussione le nostre certezze non è accettabile.
La crisi economica ha influito negativamente, provocando una chiusura sempre maggiore e aumentando l’insicurezza?
No, perché è secondaria rispetto alla centralità del cristianesimo. Il fenomeno delle migrazioni non è di oggi. Eppure in altre epoche si è condiviso tutto: pensiamo al dopoguerra e ai migranti dal Sud al Nord Italia, oppure ai nostri connazionali che sono andati nel mondo. In questa fase storica, l’egoismo e l’individualismo hanno preso il sopravvento. L’interesse personale prevale su tutto.
Viviamo un’esperienza cristiana esteriore, illuministica e irreale.
“Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” scrive san Giovanni. E Papa Wojtyla ricorda che la via che porta a Cristo è l’uomo. L’attenzione all’altro deve essere il nostro modo vero di vivere l’esperienza cristiana.
Francesco sostiene che “i fanciulli sono tre volte indifesi perché minori, perché stranieri e perché inermi”.
È un problema grave che non riguarda soltanto gli immigrati. Il prossimo Sinodo dei vescovi si concentrerà sul mondo giovanile. Se trascuriamo i minori, non ci prendiamo cura del futuro e non guardiamo alla realtà che avremo di fronte negli anni a venire. Se i minori si trovano già disorientati in condizioni di benessere economico, quanto possono esserlo ancora di più quando provengono da Paesi lontani e si trovano separati dagli affetti. Spesso, poi, sono visti come oggetti da sfruttare anche in casa loro: pensiamo, ad esempio, ai minori ridotti in schiavitù per il lavoro, come avviene in Asia su commissione delle grandi multinazionali occidentali.
A riguardo, il Papa sostiene che “se non si trova il modo di intervenire con maggiore rigore ed efficacia nei confronti degli approfittatori, non potranno essere fermate le molteplici forme di schiavitù di cui sono vittime i minori”.
È urgente una politica in favore dei minori. A partire dall’integrazione scolastica, per coloro che arrivano da altri Paesi. E poi un’attenzione all’intero contesto familiare, perché i bambini non devono fuggire da soli. Ricordo una mamma a cui era stato chiesto con quale coraggio affidasse suo figlio ai marosi: “Le onde del mare così difficili – rispose – sono più sicure della terra ferma dove c’è guerra e morte”. Per questo è indispensabile creare condizioni favorevoli per i minori e combattere contro il loro sfruttamento.
Dobbiamo essere consapevoli che se in certe nazioni la morte e la violenza sono all’ordine del giorno, è perché anche noi facciamo troppo poco per cambiare la realtà.