DIOCESI – Riportiamo di seguito l’omelia di monsignor Carlo Bresciani, vescovo di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, pronunciata durante la S. Messa di ieri, giovedì 11 gennaio, nel Santuario dell’Adorazione dei Padri Sacramentini in San Benedetto Martire in occasione del terzo anniversario della sua ordinazione episcopale.
“La lettera agli Ebrei ci ha ricordato che il Figlio di Dio, Gesù, si è fatto in tutto simile a noi, proprio perché non è stato chiamato dal Padre a prendersi cura degli angeli, i quali non hanno bisogno di nulla, ma della stirpe di Abramo, cioè di noi che abbiamo bisogno di essere liberati dal nostro peccato.
Dio, in Gesù, ci salva facendosi simile a noi e condividendo le prove della nostra vita, soffrendone personalmente. Si tratta qui di una indicazione preziosa dello stile di vita di coloro che hanno in comune la carne e il sangue dell’umanità di Gesù: prendersi cura non degli angeli, ma di coloro che Dio ama, cioè dell’umanità provata e bisognosa e della sua Chiesa.
È in questa luce che va visto ogni tipo di ministero nella Chiesa, dal più semplice al più impegnativo: si tratta sempre di un prendersi cura degli altri, imitando lo stile di Gesù.
Non c’è altro modo di comprenderlo e di viverlo.
Gesù lo fa in obbedienza assoluta al Padre, tanto da poter dire “mio cibo è fare la volontà del Padre”, anche quando questa volontà comporta affrontare passaggi duri e sofferti della vita. Gesù non cerca affermazioni di se stesso, non cerca privilegi, non ruoli in cui il successo sia garantito, si rende invece “in tutto simile ai fratelli” e ne condivide la vita semplice e povera, anche da lavoratore nella casa di Nazareth, in aiuto a Giuseppe, per guadagnarsi onestamente con le proprie mani di che vivere. Ma nello stesso tempo non trascurava lo studio delle Scritture, tanto che già a 12 anni, nel tempio, era in grado di discutere di esse con i sommi sacerdoti, meravigliandoli per la sua sapienza.
Non c’è possibilità di un ministero in nome di Dio senza conoscere profondamente la Scrittura, proprio perché il ministero nella Chiesa non è caratterizzato solo dal fare qualcosa, sia pure in nome di Dio e della Chiesa. Ogni ministero ha la sua sorgente nella penetrazione sempre più profonda del progetto di Dio rivelato in Cristo, penetrazione mai conclusa neppure nel ministero ordinato del sacerdote o del vescovo.
È questa conoscenza che muove le mani ad operare nella giusta direzione, prendendosi cura del nuovo Israele, cioè della Chiesa. Proprio per questo, il ministero più alto nella Chiesa è quello del catechista che introduce alla conoscenza e all’esperienza di Dio, poiché senza conoscenza di Dio non c’è sacramento vissuto nella fede.
Gesù stesso ce lo conferma nel brano del Vangelo, quando risponde, probabilmente non senza sorpresa da parte dei suoi stessi apostoli, che non può fermarsi a Cafarnao dove ha guarito la suocera di Pietro e molti altri, i quali, avendo visto i prodigi che aveva compiuto, lo cercavano e volevano trattenerlo. Gesù risponde “andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là, per questo sono venuto”. Ciò che sta a cuore a Gesù non è essere cercato, ma annunciare in verità il Regno di Dio, predicare il Vangelo. Egli non si lascia catturare dalle richieste della gente che lo cerca e che sono altre. Nella preghiera, che ha appena concluso nel luogo deserto e silenzioso in cui si era ritirato di buon mattino, quando era ancora buio, ha meditato la volontà del Padre, ha ascoltato la sua voce e ha rimeditato la missione di annunciare il Vangelo ricevuta da lui e la assume con decisione.
È da questa preghiera e da questa comunione con il Padre che scaturisce la grande libertà di Gesù nel suo ministero; libertà che forse scontenta e sorprende quelli che lo cercavano senza avere compreso ciò che stava facendo, quale fosse la sua missione, ma proprio in tal modo li aiuta a comprendere che il suo primo compito è predicare il Regno di Dio, non perché si rifiuta di prendersi cura dei malati, ma perché non c’è alcuna guarigione vera dell’uomo senza comprendere e vivere l’amore di Dio. Ciò che Gesù vuole è soprattutto la guarigione interiore dell’uomo, quella del suo cuore, da cui scaturisce anche la modalità nuova di andare incontro a coloro che sono nel bisogno.
Carissimi, chiunque vuole vivere un ministero nella Chiesa, ciò vale a tutti i livelli, deve avere la stessa libertà di Gesù e tenere sempre ben chiaro che ciò che è importante è l’annuncio di Dio, senza lasciarsi catturare dalle richieste delle persone, ma rendendosi prontamente disponibile alla volontà di Dio, ovunque egli chiami, andando anche altrove, se necessario, o assumendo compiti nuovi lasciando quelli di prima, fossero anche più gratificanti come lo era l’accorrere della folla a Gesù.
La folla era tentata di fermarsi al Gesù che guarisce dalle malattie e per questo lo cercava: è vero Gesù aveva guarito da malattia la suocera di Simone e molti altri, ma se si fosse lasciato racchiudere in questo ruolo, sarebbe venuto meno alla sua missione, l’avrebbe impoverita fino a svuotarla completamente.
Non la folla deve trascinare Gesù, è lui che deve trascinare la folla a un rapporto meno utilitaristico con Dio. Così deve essere anche per noi: se vogliamo portare la gente a Dio, dobbiamo lasciarci guidare dalla Parola di Dio e della Chiesa, non dalle chiacchiere, dalle richieste dei mass-media o dall’ondivaga emotività della gente che passa troppo velocemente dall’“osanna” al “crucifiggilo”, e ciò perché non mette al centro Dio, ma gli interessi particolari e l’opportunità del momento.
Noi non esercitiamo un ministero nella Chiesa lasciandoci guidare dalle inchieste statistiche o in base al consenso della maggioranza, per quanto ciò possa essere utile per capire cosa pensa e vive la gente. Non così hanno fatto Gesù e i molti martiri di ieri e di oggi. Noi esercitiamo il ministero per amore del Signore Gesù e secondo la sua volontà, così come ce la presenta la Chiesa. Questo solo e sempre sia il nostro vanto.
Carissimi sacerdoti e fedeli, rendo lode al Signore per l’amore che mostrate alla Chiesa e vi sono molto grato per l’aiuto che mi date a rendere questa nostra amata diocesi sempre più vero corpo di Cristo, unito nel suo amore e trasparenza della sua carità. Vi sono grato, in modo particolare, delle preghiere che in questa circostanza dell’anniversario della mia ordinazione episcopale avete la bontà di presentare a Dio, affinché mi sostenga nel ministero che mi ha affidato a vostro favore. Solo Lui potrà ricompensarvi di tutto il bene che fate alla sua Chiesa e a me”.
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