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Emergenza freddo: la notte dei clochard nella chiesa di san Callisto

Di Patrizia Caiffa

“Ciao Gaetano, bentornato”. Le volontarie e i volontari della Comunità di Sant’Egidio aprono alle 20 in punto la porta della chiesa di San Callisto a Trastevere, di proprietà del Vaticano, e accolgono così, chiamandole per nome, le trenta persone senza dimora che ogni notte, dal 7 gennaio, possono dormire al caldo in questi giorni di emergenza freddo. Arrivano alla spicciolata, alcuni hanno aspettato una mezz’ora fuori, nella stessa piazzetta dove i romani a quell’ora bevono tranquillamente l’aperitivo nell’omonimo e famoso bar. Al posto dei banchi e di fronte all’altare – nel tabernacolo c’è il Santissimo – ci sono i letti, con molte coperte. Le sedie di plastica vengono utilizzate come comodini, per appoggiare abiti e borsoni.

Un letto è sistemato perfino all’ingresso, di traverso, accanto al confessionale. Letti anche in sacrestia e in una stanza adiacente, nello spazio separato per le donne.  Tra uno e l’altro diverse stufe a gas, che rendono l’ambiente confortevole e accogliente. I bagni chimici però sono all’esterno. Un centinaio di volontari, a turni di quattro o cinque ogni sera, si occupano dell’accoglienza. La sera parlano con gli ospiti, ascoltano i loro bisogni, fissano le visite mediche, li aiutano ad avere una residenza e una carta d’identità. Al mattino li salutano con un caffè o thè caldo e un cornetto. Prima possono cenare alla vicina mensa di via Dandolo, come consueto.

Finora 50 persone di ogni età e nazionalità sono passate nella chiesina di San Callisto.

C’è un certo ricambio perché si cercano sistemazioni più stabili. Sulle 7.000 persone senza dimora censite su Roma, la Comunità di S. Egidio ne segue circa 3.000.

Mai tanta solidarietà come quest’anno. Perfino una volontaria di lungo corso come Lucia Lucchini, responsabile della mensa di via Dandolo, è stupefatta dell’enorme gara di solidarietà che c’è stata quest’anno tra i romani: “Il mio telefono squilla in continuazione, tutta la città si è mobilitata. Tanti romani vogliono aiutare, siamo stati sommersi di sacchi a pelo, coperte, stufe.  E’ come se volessero riparare ad una ingiustizia. Qui tutto ci è stato donato”. Forse è “l’effetto Papa Francesco”, ammette, il fatto che abbia espresso le sue preoccupazioni per i poveri che dormono al freddo e i suoi gesti concreti tramite l’Elemosineria pontificia, con le auto a disposizione per la notte e la distribuzione dei sacchi a pelo. Fatto sta che non passa giorno, nei centri della Caritas di Roma (che ha aumentato di 80 posti letto l’ordinaria disponibilità di 500), nelle parrocchie e negli istituti religiosi, in cui non si registra l’apertura di un nuovo spazio per ospitare i senza dimora. Ad oggi almeno cinque parrocchie romane. Gli ultimi, questa settimana, sono stati i Padri Giuseppini del Murialdo, che nel centro sportivo del Pontificio oratorio San Paolo hanno sistemato 15 letti. Pesano, però, le notizie dei tre morti per freddo. Due di loro, Paola e Amantina, erano già seguite dalla Comunità di Sant’Egidio, che le ricorderà il 19 gennaio in una veglia di preghiera nella parrocchia della Santa Croce in via Flaminia (ore 19.45).

“Ogni morte è un grande dolore. Ci fa pensare che dobbiamo fare ancora di più, istituzioni comprese”.

Italiano, 36 anni, colpa del gioco d’azzardo. Nella chiesa di San Callisto, che la Comunità aveva già in gestione per attività con anziani e disabili, appena entrano alcuni si infilano sotto le coperte. La maggioranza non gradisce giornalisti o telecamere ma alcuni desiderano invece raccontare la propria vita. Come Nunzio, 36 anni, nato a Milano ma a Roma da 26 anni, nonostante la giovane età vive in strada da quattro anni. Di bell’aspetto, ha uno sguardo azzurro allucinato come le intemperie della vita che si è trovato davanti. E’ stato abbandonato dal padre alla nascita, l’ha visto solo una volta nella vita, ma dice di non sentirne la mancanza. “Sono cresciuto con mamma, che mi ha fatto da madre e da padre, e per lei ho un amore stupendo. Vive a Salerno e fa la badante, ogni mese mi manda 30/40 euro”. Per tre anni ha dormito alla stazione Termini o nei padiglioni nascosti del Policlinico Umberto I, ma solo se i vigilantes chiudevano un occhio sulla loro presenza. “Se non ci cacciano riusciamo a dormire non più di due o tre ore a notte – racconta -. D’estate è un po’ meglio perché fa notte tardi ma l’inverno sei più stressato, ti ammali per il freddo, cammini tutto il giorno per cercare un lavoro, per mangiare, fare la doccia”. “Mi sono ritrovato di punto in bianco senza casa e lavoro – prosegue -. Ho dovuto pagare tutti i miei buffi (debiti in romanesco, ndr) e mi ritrovo qua”. Prima del crollo della sua vita ha lavorato come parchettista, cameriere, gelataio, poi ha aperto un locale, “l’ho venduto e ho fatto la vita bella per due anni, finché non ho perso tutto al gioco. Sono stato anche in carcere, per altri motivi. Ma adesso non mi posso lamentare, qui si sta molto bene. Ringrazio tanto i volontari perché mi stanno aiutando a fare la carta d’identità, così posso lavorare”. Nunzio è colpito dalla solidarietà di tanti suoi coetanei che li avvicinano per portare da mangiare, un po’ di tabacco. “C’è tanta gente buona – dice -. Ma noi in strada siamo in tanti, adesso. Ogni anno sempre di più. Noi giovani ce la possiamo fare, ci conosciamo tutti, ma per gli anziani è veramente dura”. Per il futuro spera di trovare un lavoro qualsiasi. “Piano piano la ruota gira – sorride -. Intanto stiamo al caldo”.

Dalla Transilvania ad una baracca al Trullo. Danilo invece viene da un paesino della Transilvania, in Romania. Ha 52 anni, italiano decente con qualche velleità e una conversazione leggermente alcolica. Ha lavorato come falegname, muratore, elettricista. “Ma ora è un problema, non si trova più niente”. Con altri connazionali aveva trovato una sistemazione in una baracca nel quartiere Trullo. “Era bella. Non era freddo e non era caldo”. Il suo grande cruccio è che un giorno alcuni moldavi – che apostrofa con parolacce che iniziano con s e con b – hanno sfondato la porta e hanno rubato tutto. “Perfino una coperta di pura lana di pecora”. Poi è stato intercettato dalla Croce Rossa e ha incontrato un assistente sociale, che lo ha mandato alla mensa di Sant’Egidio. “Qui è meglio. E’ caldo, ci sono le stufe, le coperte. Si dorme bene”. Sa che la chiesa di San Callisto è proprietà del Vaticano e apprezza l’impegno di Papa Francesco.

 

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